Non so se lo amo o lo odio.

Sono sempre stato un amante della trilogia di Dark Souls e Bloodborne rientra nella lista dei miei giochi preferiti di sempre.  Sono tutt’ora convinto che il SoulsLike più difficile è il primo che giochi, poiché non si conoscono le meccaniche di gameplay e il gioco ti aiuta ben poco a capirle. Una volta imparate si procede abbastanza agevolmente, non dico che siano facili, ma comunque si riesce a finirli senza eccessivi problemi. Quindi, peccando di superbia, mi sono approcciato a questo Sekiro: Shadows Die Twice convinto che non avrei avuto grossi problemi, che con la mia esperienza potevo superare di tutto. Ebbene, non è stato cosi. Sekiro mi ha preso a pugni in faccia ripetutamente fino alla fine e ieri, quando l’ho finito, ho urlato letteralmente di gioia. Diverse volte durante l’avventura ho fortemente creduto che non sarei riuscito ad andare avanti, che quel boss era oltre le mie capacità e che non avevo la minima idea di come avrei potuto superarlo. Ma nonostante tutto, dopo aver passato un giorno intero a cercare di battere il boss finale, ce l’ho fatta; ho compiuto questa impresa e sono qui per parlarvene.

Non avete idea di quante volte io abbia visto questo Kanji

Trama

Ambientato nell’epoca Sengoku (fine del XVI secolo), Sekiro narra di un piccolo villaggio, chiamato Ashina, distrutto dalla guerra. Il nostro protagonista senza nome è al servizio del giovane lord Kuro, e il suo compito è quello di proteggerlo a qualsiasi costo.

Per quanto possa risultare una trama banale lo sviluppo dell’intreccio non lo è affatto. La narrazione è visceralmente collegata al credo buddhista e tratta temi quali la reincarnazione e il ciclo perpetuo del dolore. Però, per quanto la narrazione sia molto più esplicita rispetto ai vecchi titoli di From Software, non raggiunge la profondità e il fascino delle precedenti produzioni. Sia chiaro, Sekiro mantiene quella lore cupa e opprimente tanto cara ai fan, ma forse è proprio il fatto che venga direttamente narrata che la rende meno affascinante.

Gameplay

Pad alla mano, Sekiro risulta essere molto familiare a chi ha giocato i vecchi titoli From, ma allo stesso tempo se ne distanzia enormemente. La leggera evoluzione vista in Bloodborne verso un gameplay più veloce e frenetico, qui raggiunge la sua completezza. Il rampino e l’aggiunta del salto non solo spostano il level design verso una verticalizzazione delle mappe, ma rivoluzionano anche il combattimento, aggiungendo nuove tecniche di approccio, tra cui lo stealth: Lo sfoltire le truppe nemiche prima di ingaggiare lo scontro risulterà essere fondamentale per il progredire nell’avventura. Il level design mantiene livelli altissimi anche se probabilmente raggiungere la qualità del primo Dark Souls è probabilmente impossibile.

Passiamo a parlare di ciò in primo luogo contraddistingue Sekiro: Il combat system. L’assenza di dati statistici e meccaniche da GDR ha dato la possibilità al team di sviluppo di concentrarsi completamente nel creare un sistema di combattimento di altissimo livello. Gli scontri con l’arma bianca sono realizzati alla perfezione: Il sistema è basato sul far vacillare la postura del nemico per renderlo vulnerabile ad un attacco mortale istantaneo. Ciò avverrà non solo attaccando costantemente, ma anche parando alla perfezione i colpi degli avversari. Ed è forse qui che Sekiro si distingue dalla massa; il feeling che porta l’eseguire una parata per poi controbattere con un attacco mortale è qualcosa di stupendo, fa sentire il giocatore estremamente abile e appagato. Ed è così che l’estremo livello di difficoltà assume un senso, il giocatore vede la sua graduale crescita e riesce a superare ostacoli che non avrebbe mai superato prima, pian piano riuscirà a padroneggiare appieno il sistema di combattimento e a superare qualsiasi ostacolo. Ma per far raggiungere quest’abilità al giocatore, Sekiro usa la tecnica di apprendimento più brutale mai esistita. Esattamente come gli spartani lasciavano i propri figli da soli ad affrontare i pericoli della foresta per settimane, allo stesso modo Sekiro prende il giocatore e lo fa morire centinaia, se non migliaia di volte. A ben poco serviranno le abilità sbloccabili durante l’avventura, o i vari gadget della protesi al braccio, se non si è in grado di usarli perfettamente.

Eppure per quanto la difficoltà sia giustificata, ad un certo punto della storia non lo è più. Dopo un 15 ore di gioco, delle 30 con cui ho concluso la storia, cominciavo a sentire un senso di frustrazione dovuto non tanto alla difficoltà, ma alla ripetitività della stessa. Mi spiego: Sekiro è pieno zeppo di Boss e Mid boss, che si ripetono con una costanza estenuante. Se nei Souls l’esplorazione era preponderante, qui sarà presente in minima parte. Quello che faremo principalmente sarà affrontare Bossfights a ripetizione, con una pausa di 10/15 minuti tra l’una e l’altra. Quindi dopo un bel po’ di ore passate in questo modo, comincia stufare il trovarsi davanti un nuovo boss con il quale probabilmente si morirà ancora parecchio prima di riuscire a batterlo. Se tali Bossfights fossero state spezzate da sessioni esplorative più lunghe, probabilmente il discorso sarebbe stato diverso.

Comparto Tecnico

I miglioramenti tecnici rispetto ai vecchi titoli From sono evidenti. Finalmente il tanto odiato input lag è completamente sparito permettendo un combattimento con parate millimetriche. Purtroppo la telecamera, per quanto abbia fatto grossi passi in avanti rispetto al passato, rimane un problema nei luoghi stretti e soprattutto quando ci troviamo vicini ad una parete, non permettendo al giocatore di vedere cosa stia succedendo su schermo e portandoci ad una inevitabile morte.

Il frame rate (su PS4 standard) è abbastanza solido, anche se in alcune zone con un eccessivo numero di nemici e con molti effetti particellari sono presenti vistosi cali. Non si riscontra alcun Bug eclatante.

Dal punto di vista della pura qualità grafica, Sekiro è buono ma non superlativo. Probabilmente per mantenere fluido il gameplay si è deciso non puntare eccessivamente su un’alta qualità di texture e particellari.

Tutt’altro si può dire per il comparto artistico. Mantenendo i suoi standard qualitativi, FromSoftware ci propone un mondo stupendo nel suo essere orrendo. I modelli di boss e nemici sono curati in ogni singolo dettaglio e la stessa cosa si può dire delle aree di gioco.

Altrettanto ottime sono le musiche, che riprendono in chiave moderna le musiche tradizionali giapponesi. Inoltre è altamente consigliato l’utilizzo della lingua originale, di altissima qualità e utile per l’immedesimazione.

Commento finale: Sekiro: Shadow Die Twice è un titolo con uno dei combat system migliori mai creati. La sua varietà di approcci allo scontro raramente è riscontrabile in un Action. Il gioco è difficile come FromSoftware ci ha abituati, ma probabilmente questa volta ha superato leggermente il limite. Se non avete paura di ripetere tantissime volte una Bossfight e siete incantati dal fascino del Giappone feudale, Sekiro è il gioco che amerete profondamente. Se invece siete di quei giocatori che amano giocare per rilassarvi, statene assolutamente alla larga.

PRO

-Combat system incredibilmente coinvolgente…

-Riproduzione del Giappone feudale accattivante

-Bossfights estremamente variegate

CONTRO

-…Ma a tratti snervante per la difficoltà

-Lore non ai livelli dei vecchi giochi della From Software