Dagli accampamenti alle case dei personaggi, lo “stay home” dei videogiochi.
Non esiste tema più attuale: stare a casa. Non uscire, o uscire solo per strette necessità, restare isolati all’interno delle proprie abitazioni o nel luogo che, in questo momento, per noi più si avvicina a un riparo sicuro per noi stessi e per gli altri. Difficile per film, telefilm, romanzi, dipinti o altre forme d’arte replicare le sensazioni che le nostre dimore ci danno: protezione, sicurezza, conforto. Vediamo altri personaggi rientrarvici o rifugiarvici, ammiriamo stanze e case raffigurate sulle tele, ne leggiamo la descrizione in un romanzo, ma risulta complicato provare quello stato d’animo in prima persona. Esiste però un altro mezzo di comunicazione, intrattenimento ed espressione artistica che è invece in grado di trasmetterci esattamente la stessa sensazione: il videogioco. Alcuni giochi digitali con una forte componente narrativa, infatti, mettono il giocatore alla prova per poi però fornire loro degli spazi in cui riposarsi, raccogliere o depositare oggetti, ripristinare le energie perdute o semplicemente prendersi una pausa dalla costante pressione a cui sono sottoposti nel mondo di gioco esterno.
Casa dolce casa (o quasi)
Lara Croft, star delle protagoniste nei videogiochi, si annoiava in casa ben prima della quarantena: per chi non fosse a conoscenza della sadica abitudine dei giocatori di Tomb Raider 3, è presto spiegato. All’interno della cucina del Maniero Croft, era possibile aprire la porta della cella frigorifera; niente di strano, se non fosse che il fin troppo fedele maggiordomo Winston (inglese: non si vede dal tè?) seguiva Lara ovunque lei andasse. Data la sua camminata molto più lenta di quella dell’archeologa, nel caso in cui Lara entrasse e uscisse velocemente dalla cella, lasciando che Winston ne ripercorresse lentamente i passi, era possibile chiudersi la porta alle spalle per lasciare il povero maggiordomo intrappolato all’interno. Niente paura: tornando anche diversi minuti e ore dopo a riprendere il presumibilmente congelato servitore, lo si ritrovava in perfetta salute e pronto a seguire la sua assistita in ogni stanza della casa. La dimora di Lara Croft è une delle iconiche magioni dei personaggi dei videogiochi, luogo spesso accessibile dal menù principale come opzione isolata dalle avventure principali in paesi esotici e siti archeologici fra cui la giovane studiosa si muove tra sparatorie, corse rocambolesche e acrobazie. Proprio come un rientro a casa, la villa di Lara è liberamente esplorabile senza temere attacchi e pericoli ambientali per riposarsi e allenarsi ad affrontare l’ostile mondo che ci attende fuori di casa (nel caso di Lara, direttamente in palestra!).
Quella della giovane archeologa non è la sola casa dei videogiochi. Impossibile non citare le case “fai da te” degli storici The Sims, che spesso – estensioni a parte – costituiscono l’unico spazio di gioco a disposizione del giocatore. In uno dei più famosi simulatori di vita della storia dei videogiochi, infatti, si assiste alla crescita, inclusa quella professionale, di un personaggio creato dai noi e delle dimora che scegliamo o creiamo per lui o lei. Quando il nostro Sim è al lavoro o in un altro luogo, nelle versione base del gioco non è previsto che il giocatore segua le sue tracce né controlli le sue azioni. Lo o la si attende “pazientemente” (il tempo scorre più velocemente) a casa, dove rientrerà con la barra dell’energia quasi esaurita – come spesso accade ai giocatori che tornano a casa per giocare a The Sims – per riposarsi, dedicarsi ai propri hobby e allo sviluppo di relazioni con gli altri abitanti del quartiere.
Una peculiare eccezione al senso di conforto creato dalla casa digitale nei videogiochi è quello del survival horror Silent Hill 4: The Room, dove l’appartamento del protagonista Henry costituisce sì un punto di ritorno per depositare e raccogliere oggetti, ma a seconda di quante entità maligne i giocatori avranno attirato durante le loro visite nei dintorni di Silent Hill, la casa verrà infestata dai fantasmi che procureranno danni lievi, medi o gravi al proprietario. L’esperienza di gioco risulta quindi quasi priva di veri e propri punti di ristoro (in linea con il tema horror e particolarmente macabro dell’intera terrificante saga di Konami).

Case di fortuna e spazi hub
Non è detto però che i punti di riposo siano per forza costituiti dalle dimore dei personaggi che controlliamo. La stessa Lara in Tomb Raider (2013) non ha più accesso alla sua villa, ma è costretta a trovare conforto in piccoli accampamenti di fortuna intorno a un fuoco, ciò che di più simile esiste a un “focolare domestico” in una situazione particolarmente sfavorevole: quella della naufraga. Una casa di fortuna è anche quello in cui Corvo, uno dei protagonisti di Dishonored, viene accolto da un gruppo alleato di rivoltosi – per lui viene arrangiato un umile ma efficiente dormitorio all’ultimo piano di una locanda deserta. Proprio come in altri videogiochi, il ritorno al luogo sicuro permette ai giocatori, dopo interminabili assassinii o strategie messe in atto per rimanere nascosti, di acquistare potenziamenti per il loro equipaggio, dialogare con altri personaggi e sentirsi liberi di esplorare le stradine della piccola area non pattugliata dalle guardie.
Il game designer Christopher W. Totten in An architectural approach to level design (CRC Press, 2014) definisce le aree dei videogiochi che permettono l’accesso ad altre aree, zone e livelli hub space, spazi-capanna che costituiscono un punto centrale di accesso e uscita, spesso ma non sempre privi di ogni pericolo e generalmente pensati per lasciare un attimo di respiro ai giocatori. Un esempio “vintage” di casa hub è costituito dal castello della Principessa Peach in Super Mario 64, dove Mario, senza temere di incappare in nemici e trappole mortali, ha accesso ai diversi livelli del gioco tramite i quadri del castello che sono stati incantati dal suo nemico Bowser e che ora costituiscono dei portali d’accesso ai mondi del Regno dei Funghi.
Essendo hub space, case e accampamenti di fortuna elementi di design ricorrenti in giochi basati sulla narrativa e sulla costruzione di universi immaginari, il genere dei GDR, i giochi di ruolo, non ne è certo privo. Spesso si tratta di luoghi integrati nel mondo di gioco non necessariamente pensati per il comfort del giocatore – locande, case di personaggi amici, grotte – ma che procurano lo stesso effetto di sicurezza: non a caso, nei GDR fantasy ricorre l’archetipo del personaggio viaggiatore che, dopo un lungo cammino, può riposare in un luogo sicuro. Gli hub space non sono sempre spazi meticolosamente pensati e organizzati dal game designer, ma possono essere generati in qualsiasi momento dai giocatori che, in cerca di un momento di tranquillità, riconoscono un luogo sicuro in qualsiasi punto del gioco che trasmette loro questa sensazione.

Ma proprio come la nostra casa funge da luogo di ritorno dopo una lunga giornata di lavoro, studio, allenamento, prove, attività ricreative e incontri, quella dei videogiochi – sia essa un villa o un piccolo fuoco acceso nella foresta – fornisce un senso di conforto proprio perché, prima di giungervi, i giocatori e i loro personaggi hanno superato ostacoli e nemici, hanno impegnato la mente e il corpo (virtuale) nella risoluzione di enigmi ambientali, hanno vissuto avventure e disavventure provando frustrazione, paura, adrenalina e felicità nell’aver completato missioni ed esplorato nuovi livelli. Immaginate che ogni giocatore e ogni giocatrice non potesse più uscire dalla propria casa virtuale, muoversi dall’accampamento o dall’hub space: il punto di ritorno non sarebbe altro che un’area sicura, certo, ma la cui funzione – quella di far riposare e rilassare – verrebbe annullata dall’impossibilità di uscirne per vivere altre esperienze.
Questo articolo è dedicato a tutti i giocatori e le giocatrici d’Italia, con l’augurio che possano uscire dai loro hub space, dai loro accampamenti e dalle loro case il prima possibile, per continuare a sbloccare i propri achievement e completare ogni missione primaria e secondaria che il mondo esterno ha in serbo per loro per poi, dopo una lunga giornata…tornare a casa.
