Due medium diversi…ma spesso legati.

Non è raro imbattersi in un paragone tra un film e un videogioco o viceversa, ed effettivamente i due medium sono spesso e volentieri messi a confronto, non solo per una certa somiglianza nell’esposizione, ma anche e soprattutto perché si incappa nell’errore di ritenere il videogioco una sorta di emanazione del cinema. In verità, la realtà delle cose è  molto più complessa, ma fin da subito, posso affermare che anche grazie all’enorme impulso evolutivo che ha avuto in questo primo periodo di vita, è possibile ritenere il videogioco un mezzo di comunicazione ispirato, certo, ma in alcun modo subordinato al cinema.

In questo breve articolo, quindi, andremo ad affrontare le divergenze e ovviamente le somiglianze tra cinema e videogioco, nonché a studiare il probabile processo di interscambio che si sta avviando tra questi due medium, al fine di comprendere quanto il videogioco si stia avvicinando agli stilemi cinematografici e quanto invece il cinema stesso stia acquisendo e imparando dalla breve storia del videogioco.

Cinema e Videogiochi, processi di interscambio: economia.

È facile comprendere come due medium così simili, possano ricevere una gestione di marketing e un’evoluzione sul piano economico affini o addirittura parallele. Effettivamente la direzione verso cui sta puntando l’industria cinematografica sembra essere pedissequamente seguita da quella videoludica. Le cause di questa vicinanza, devono essere interpretate secondo due elementi: la digitalizzazione e la fruibilità. Entrambe, sono estremamente legate tra di loro, dato che fu proprio il processo di digitalizzazione in cui si è andati incontro nei primi anni duemila ad aver radicalmente modificato la fruibilità dei due mezzi, e non solo, sino a raggiungere una vera e propria unificazione di massa della divulgazione culturale: medium che erano tradizionalmente separati nella loro fruibilità, grazie a questo cambiamento, sono diventati usufruibili su più di un dispositivo (si pensi agli ebook, a piattaforme come RaiPlay o anche ai podcast dei programmi radiofonici, ora reperibili su vari siti web), mentre ha sicuramente dato una mano nello sviluppo della super comunicazione dei mass media, sfruttata in gran parte per qualsiasi campagna di pubblicizzazione e che ha nel tempo radicalmente modificato la struttura stessa della pubblicità.

La digitalizzazione ha cambiato radicalmente il modo di fruire dei vari medium, unificando anche il sistema di comunicazione in forma, appunto, digitale.

Insomma, questa unificazione ha dato grande spazio alle industrie per allargare il mercato di acquisto dei loro prodotti. Si pensi alle piattaforme di streaming, come Netflix per i film e l’Xbox Game Pass per i videogiochi che stanno ottenendo enorme successo, tanto che si  pensa avranno una progressiva evoluzione tale da poter soppiantare i vecchi sistemi di distribuzione (cosa che comunque attualmente rimane improbabile).

Ma le somiglianze a livello economico tra i due medium non finiscono qui: l’innegabile affinità tra i due si rispecchia anche per quanto riguarda la produzione. Le differenze, infatti, nel processo di lavorazione di un prodotto del genere, si fermano al fatto che mentre per un film si deve far fronte ad una fase di produzione che richiede una ferrea organizzazione dei costi e al sostentamento del troupe, in un videogioco, normalmente queste necessità vengono a mancare, in quanto la fase di produzione è certamente più statica, cosa che tra l’altro vale anche nel campo dell’animazione in CGI e quello dell’ormai rara (purtroppo) animazione tradizionale.

Sarebbe interessare parlare anche come il cinema abbia prestato sempre di più ai videogiochi i propri autori e interpreti, e di come il videogioco abbia al contrario dato l’input per alcune trovate di marketing poi utilizzate anche dall’industria cinematografica, ma così facendo, il discorso si amplierebbe in maniera eccessiva, e rischieremmo di fuoriuscire dal tema.

Toy Story (1995) è il primo lungometraggio animato ad essere realizzato interamente in computer grafica.

Cinema e Videogiochi, processi di interscambio: evoluzione.

In quanto mezzi di comunicazione essenzialmente simili, cinema e videogioco possiedono diverse caratteristiche in comune anche nel loro sviluppo: questo perché spesso e volentieri è stato proprio il cinema a guidare l’evoluzione del videogioco, fungendo di conseguenza come una sorta di mentore per le intuizioni concettuali e stilistiche che ha suo tempo aveva avuto in origine.

Effettivamente, nei suoi primi anni di vita, il cinema era relegato in quell’involucro di forma d’intrattenimento popolare, che mai avrebbe fatto presagire una sua metamorfosi in forma d’arte. Come il lettore avrà già intuito, il risvolto sociale e stilistico del cinema delle attrazioni è curiosamente simile all’idea di videogioco che si ha normalmente: un semplice passatempo, anche poco fantasioso, ed effettivamente il videogioco lo è stato per molto tempo.

Possiamo dire che l’era del “videogioco delle attrazioni” sia terminata verso la fine degli anni ’90, quando si iniziò seriamente a sperimentare le capacità comunicative del mezzo. Molti riconducono l’origine di questo processo all’uscita di Metal Gear Solid (pubblicato per PS1 da Konami), ma è pur vero che esperimenti del genere erano già in atto con risultati mediamente positivi (il primo Final Fantasy, uscito nel 1987, ne è un chiaro esempio). La stessa Metal Gear Saga può essere intesa come un avvicinamento al linguaggio cinematografo, ma al tempo stesso Hideo Kojima, suo autore, è stato abilissimo nel progredire anche con le vie comunicative videoludiche, diventando un esempio di artisticità tuttora ineguagliato nel settore.

Metal Gear 3 (2004): considerato da molti l’apice della serie, è anche uno dei migliori esempi di “arte videoludica”.

Attualmente, quindi, sembra che questo medium si stia dirigendo verso una forma più autoriale e artistica: lo testimoniano titoli come Death Stranding (sempre di Kojima) o The Last of Us (per The Last of Us: Part II il discorso è diverso e molto più complesso), che puntano essenzialmente nella realizzazione di un prodotto che sappia emozionare, comunicare, oltre che intrattenere. Se però da un lato sta avvenendo una vera e propria sperimentazione in questo campo, dall’altro stiamo avendo, in numero crescente, una naturale propensione da parte di alcuni videogiochi alla loquela cinematografica, cosa che mette automaticamente in secondo piano il “gameplay”, che come il montaggio per il cinema, è il tratto distintivo del videogioco. Ma se la creazione di un “film interattivo” può essere comunque un esperimento interessante, una sua espansione per tutto il ramo videoludico, non potrebbe consistere in un’evoluzione del genere. Possiamo dire che la tendenza di alcuni sviluppatori nello spingere più verso il “video” che verso il “gioco”, potrebbe decretare un annichilimento di questo in favore di una completa subordinazione al cinema, non solo sul piano del progresso, ma anche e soprattutto su quello comunicativo.

Questo però non vuol dire che in passato il cinema non abbia rischiato di vedersi private alcune delle sue peculiarità a causa delle innovazioni tecniche raggiunte dai videogiochi: è il caso del film, tratto dall’omonimo videogame, di Final Fantasy (Final Fantasy: The Spirits Within, 2001). Questo, animato interamente in CGI, aveva dimostrato le enormi potenzialità della computer grafica, e si era addirittura parlato di creare attori interamente animati, che avrebbero potuto sostituire gli attori invece “in carne ed ossa”. Ciò avrebbe garantito una serie di fattori come la completa manovrabilità, il costo di sostentamento completamente annullato in quanto creazione digitale e tutte quelle difficoltà economiche e relazionali a cui si andava contro con dei professionisti, e che sicuramente erano il primo grattacapo per i produttori. L’inaspettato flop al botteghino del film, dovuto molto probabilmente alla scarsa attenzione per la trama e all’espressività legnosa dei personaggi, deviò fortunatamente l’industria cinematografica da questa prospettiva.

Realizzato con ben 137 milioni di dollari, Final Fantasy: The Spirits Within ne incassò all’uscita solo 85, risultando uno dei maggiori flop commerciali della storia del cinema.

Cinema e Videogiochi, processi di interscambio: comunicatività.

Fin da subito posso affermare con sicurezza che il videogioco nei riguardi del cinema può avere solo somiglianze comunicative decisamente superficiali che non vanno a ledere l’iconicità del medium.

Primo e più debole paragone con il cinema si costituirebbe proprio nelle Cut-scenes, ovvero dei veri e propri filmati non interattivi, che sacrificano l’interattività per il progredire della narrazione. La questione delle Cut-scenes è estremamente formale, in quanto priva, sì, il controllo del personaggio per il giocatore ma non è influente nel suo processo di immedesimazione (in questo senso un esperimento come God of War, girato in un continuo piano sequenza, ha un enorme valenza teorica oltre che tecnica). Siamo dunque arrivati al primo vero baratro tra cinema e videogiochi in ambito comunicativo: il processo di immedesimazione. Nel cinema questa è di carattere passivo, ovvero lo spettatore si identifica nel personaggio secondo le azioni e il comportamento di questo, si ha quindi una sorta di transfert nel personaggio dovuto ad una sovra-percezione visiva alimentata anche dal famoso “silenzio di sala”, che si cerca di ricreare, e che quindi permette di essere coinvolti nelle vicende e di provare empatia per il/i personaggio/i. In un film, inoltre, abbiamo raramente una visione contigua con quella dei loro protagonisti, solitamente, difatti, l’istanza narrante, incarnata dalla camera, opta per una visuale oggettiva, e solo in alcuni frangenti abbiamo scorci di una visuale in prima persona (soggettiva), e ancor più raramente troviamo pellicole interamente o per gran parte girate secondo questa tipologia di inquadratura (ne è un esempio Arca Russa, 2002, Sokurov).

Al contrario nei videogiochi l’immedesimazione è estremamente attiva, in quanto il fruitore, che non può più essere chiamato spettatore, diviene parte attiva e anzi componente fondamentale dell’azione, in quanto è lui ora a manovrare il personaggio protagonista e a decidere per lui. Non abbiamo quindi un processo di spettatore-in-personaggio, bensì uno di personaggio-in-giocatore, per cui è l’alter-ego videoludico a confarsi alla visione del videogiocatore, indipendentemente da un personaggio con una caratterizzazione ideata dagli sviluppatori o da un PG (Personaggio Giocante), indefinito nel carattere e interamente creato dal giocatore, componente iconica di alcuni giochi di ruolo o dei multigiocatori di massa.

L’Arca Russa, è il primo film ad essere stato girato in un unico piano sequenza e sempre il primo ad averlo fatto in soggettiva.

Ma è appunto l’iconicità della comunicazione a rendere veramente diversi il cinema e i videogiochi, al di là di tutte quelle differenze che abbiamo precedentemente analizzato. Se da un lato il cinema si è divincolato dalla stretta del teatro grazie alla scoperta e alle possibilità del montaggio, il videogioco deve ricordarsi che deve il suo successo e la sua “raison d’etre” all’interattività di cui dispone.

Nella Settima Arte, infatti, abbiamo una totale privatizzazione dell’immagine in funzione dell’autore (il regista), che quindi annulla l’arbitrarietà dell’immagine, come era ed è per il teatro o la scultura, dove lo spettatore ha la possibilità di scegliere dove guardare. Non a caso si parla di ocularizzazione marcata o mascherata, in dipendenza dal fatto se l’istanza narrante nasconde volutamente alcuni dettagli al pubblico, o se invece delibera per una visuale propriamente oggettiva.  Al tempo stesso, è il collegare le varie inquadrature tra loro, appunto il montaggio, a incidere realmente nel ritmo e a permettere soluzioni visive incidenti e una narrazione forte.

Per i videogiochi, invece, seppur queste caratteristiche siano presenti, ostentato un valore minore, in quanto la camera è a diretta disposizione del giocatore. Ovviamente, se da un lato, come abbiamo visto prima, questo aiuta non poco il processo di immedesimazione, dall’altro sacrifica gran parte dell’espressività dell’autore e quindi della forza della narrazione. È per questo, appunto, che sono nate nel videogioco le già citate Cut-scenes, che permettono, almeno nei frangenti clou della trama, di mettere in rilievo le svolte narrative. Così facendo, però, il medium sacrifica quella che è la sua componente più iconica: come già più volte detto, l’interattività. Perché è proprio l’abilità nel saper emozionare, nel giocare con il giocatore che ha reso e rende i videogame un mezzo tanto potente per raccontare storie e in certi e rari casi anche forma d’arte. È la prima vera occasione per il fruitore di un’opera, di interagire con questa, e cambiarla: un possibilità che gran parte delle correnti dell’Arte Contemporanea ha ricercato, rompendo una secolare tradizione tra chi crea e chi osserva. Se il cinema quindi rientra nella prima categoria, il videogioco possiede l’intrinseca rivoluzionaria libertà di rendere autori gli spettatori, artefici di un prodotto non loro: è qui la strada che il videogioco dovrebbe percorrere, è qui la vera rivoluzione dell’Arte.