Quando il salto di paura si fa con X…
Rumori sospetti, porte scricchiolanti, passi che si avvicinano, nascondigli di fortuna, fino alla violenza fisica e psicologica più estrema: c’è chi tollera l’horror soltanto nei film, c’è chi riesce anche a parteciparvi controllando un personaggio virtuale in un videogioco; c’è poi chi proprio non riesce a comprendere il piacere che le prime due categorie traggono dalla fruizione di tali prodotti. Perché – si chiedono in molti – ad alcuni piace guardare o partecipare a situazioni di pericolo e violenza, seppur fittizie? Cosa ci trovano di piacevole nel provare paura? Cosa sia la paura non è, purtroppo, “presto detto”, o perlomeno non può essere discusso nel dettaglio in questo articolo: ciò che lo scrittore H.P.Lovecraft chiama la più antica e potente emozione umana è descritta dal Cambridge English Dictionary come ciò che proviamo quando siamo preoccupati da eventi pericolosi e dolorosi che stanno accadendo o che stanno per accadere. Nella prima metà del 19esimo secolo, quando ormai il genere gotico nella letteratura britannica aveva preso piede, fu la scrittrice Ann Radcliffe a tracciare una distinzione fra terror e horror: il primo termine si riferisce alla sensazione di angoscia profonda e inquietudine che anticipa il secondo, ovvero la realizzazione del terrore anticipato. Per intenderci in termini videoludici, si vive nel terrore ogni volta che Amanda Ripley è costretta a nascondersi, poiché si ha paura del vero orrore: essere scovati e divorati dal raccapricciante Alien.
Quando, nella vita reale, ci troviamo di fronte a una minaccia – per esempio, un animale selvaggio – la prima parte del nostro cervello che viene attivata è l’amigdala, responsabile della gestione della paura e di altre emozioni. Questa metterà in allerta l’ipotalamo (situato in mezzo ai due emisferi cerebrali), che produrrà una risposta chimica nel nostro corpo tramite una scarica di adrenalina. In questo modo, il nostro fisico si prepara a due antichissime risposte alla paura: il combattimento o la fuga, a seconda delle circostanze e del contesto. E sembra proprio che circostanze e contesto siano le parole chiave nella ricerca di una risposta alla domanda: perché alcuni ricercano questa emozione? Jamie Madigan, autore di Getting Gamers: the Psychology of Video Games and Their Impact on the People who Play Them suggerisce che sia proprio la consapevolezza di essere al sicuro (tra le mura di casa, per esempio) a controbilanciare la spiacevole sensazione primordiale di paura. Il videogioco horror, inoltre, fornisce maggior controllo sulla situazione al giocatore, che può interrompere l’azione quando vuole. Esiste infine una teoria detta excitation-transfer per cui la piacevole sensazione di sollievo che si prova una volta terminata l’esperienza sarebbe proprio ciò che spinge alcuni di noi a voler ricercare la paura nei libri, nei film, nei videogiochi e in qualsiasi altro tipo di produzione artistica.
Un’ulteriore distinzione va fatta fra il tipo di prodotti di genere horror di cui si fruisce. Leggere un romanzo di Stephen King sarà probabilmente diverso dal guardarne la trasposizione cinematografica, così come sarà diverso giocare un eventuale videogioco tratto dalle sue opere. Un romanzo lascia il fattore immaginazione alla mercé del lettore, un film introduce l’elemento visivo e auditivo (entrambe cruciali nell’aumentare la paura) e infine un videogioco mette direttamente il fruitore al centro dell’esperienza raccapricciante. Sono quindi diversi i gradi di sopportazione richiesti a un lettore, uno spettatore e un giocatore. Nel mondo dei videogiochi horror, dagli ormai cult Amnesia e Penumbra, passando per gli indie di successo del decennio come Outlast, la paura dev’essere accuratamente smistata e organizzata in due modi: nell’universo narrativo (ambienti, personaggi, storie) e nell’interattività che coinvolge i giocatori nell’esperienza.
Ed è stata proprio la casa sviluppatrice di Amnesia e Penumbra, Frictional Games, in occasione del suo nono anniversario a postare, alla fine del 2019, un blog sulle 9 lezioni imparate negli anni creando videogiochi che hanno la paura al centro dell’esperienza (articolo completo qui). Come si struttura un videogioco horror degno di questo nome? Per prima cosa, non sorprende che puntualizzino che l’horror non è “piacevole”, facendo un paragone interessante: quello con le montagne russe. Le montagne russe simulano la caduta da una grande altezza, un avvenimento di per sé spiacevole. Tuttavia, se l’esperienza è organizzata in un certo modo, controllata e gestita (ecco che torna la consapevolezza di essere in realtà al sicuro) allora si trasforma in una fonte di eccitazione e divertimento. Lo stesso vale con l’horror videoludico: non si tratta di generare puro spavento, quanto di rendere il crescendo di paura organizzato e gestito tramite meccaniche, puzzle, narrativa ed esplorazione. In secondo luogo, poiché anche i giocatori più appassionati cercheranno istintivamente di evitare la paura, sempre tenere a mente che il giocatore stesso è il nemico del game designer: Frictional Games porta l’esempio dei famigerati cani di Penumbra. Se inizialmente i giocatori temono questi animali particolarmente feroci, cercando di evitarli, nascondersi o fuggirne il più veloce possibile, una volta scoperto che questi non possono raggiungere il personaggio se questo si trova su un barile o cassetta, ecco che il giocatore avrà “battuto” i game designer. Una terza lezione riguarda una delle più popolari controversie nei prodotti cinematografici, televisivi e videoludici: l’uso del jumpscare. Così come per salire su quella montagna russa passiamo quasi la metà del nostro tempo a fare la fila, ascoltare le urla, allacciare cinture e prendere misure di sicurezza, così il livello di un videogioco horror non può focalizzarsi soltanto sullo spavento vero e proprio, bensì sulla costruzione dello stesso tramite suspence, ambienti, suoni. Per questo, il team ha ridotto il numero di jumpscare previsto in Amnesia: The Dark Descent. Se inizialmente si temeva che il livello risultasse troppo noioso, i giocatori si sono invece rivelati molto soddisfatti e ancora più spaventati dai pochi jumpscare presenti, proprio perché la loro presenza era talmente ridotta da farne dimenticare l’esistenza e prendere i giocatori di sorpresa. La quarta lezione imparata negli anni da Frictional Games riguarda il gameplay che, al contrario di quanto alcuni giocatori potrebbero aspettarsi, non dev’essere propriamente..divertente. Prendendo come esempio Dead Space, che sì – può, tra gli altri generi, essere considerato un horror – i developer fanno notare come questo sia decisamente sovraccaricato di armi da cui scegliere, ricaricare, sparare, prendere la mira. Una serie di meccanismi frenetici certo stimolanti, ma che forse portano via il sottile brivido del sentire la paura crescere quando si ode il sibilo, verso o rumore di un nemico nelle vicinanze. Udire il mostro avvicinarsi finisce per rendere i giocatori elettrizzati, eccitati al pensiero di poter sfoderare armi ed equipaggiamento, ma…non di certo spaventati!
Si passa poi all’analisi dell’uso della linea narrativa: componente non fondamentale nella realizzazione di un gioco digitale (Tetris, Peggle, Street Fighter) nei videogiochi horror è tuttavia importante, secondo Frictional Games. Non si può dar loro torto, dal momento che il videogioco horror – per quanto l’interattività abbia reso il medium innovativo e lo distingua dagi altri – si affida comunque a tropi antichi che, nell’immaginario collettivo, si legano alla paura: l’ignoto, le tenebre, il sublime, la morte, tutti ampiamente trattati e usati nella letteratura, nel cinema e nelle arti in generale. Ecco perché fare affidamento su case infestate, castelli misteriosi, cimiteri, ville sperdute nella foresta, zombie, fantasmi e mostri conditi da un’ottima storia è sempre la scelta giusta quando si crea un’esperienza di paura interattiva. La sesta e settima lezione sono legate fra loro: il mondo di gioco costruito dev’essere percepito come “reale” e deve avere una certa quantità di indeterminatezza. Attenzione: con “reale” non si intende “realistico” né ci si riferisce alla grafica e più in generale all’estetica del gioco, bensì alla coerenza del suo universo narrativo. Tornando ai famigerati cani, questi devono essere percipiti dal giocatore come veri nemici felini che setacciano il teritorrio in cerca di cibo (umano): tuttavia, una volta studiato il comportamento e percorso dettato dalla loro intelligenza artificiale, ecco che il giocatore rischia di estraniarsi dall’universo narrativo del gioco e percepirli come elementi di gioco con un AI ripetitiva e difettosa. Ecco perché mantenere un mondo di gioco horror “reale” può diventare una vera sfida. Inoltre, proprio a conferma che l’ignoto è uno dei più vecchi ed efficaci elementi da usare per generare paura nell’essere umano, un universo horror necessita di essere poco chiaro, vago, indeterminato. Frictional Games ci è riuscita ricorrendo al sanity system, ovvero l’indicatore di sanità mentale del personaggio in Amnesia: The Dark Descent. Il giocatore sa che fissare troppo a lungo un nemico, assistere a eventi traumatici o restare fermo nell’oscurità provocherà al suo personaggio l’abbassamento della sanità mentale, indicato dall’offuscamento dello sguardo (aka schermo) del protagonista. Nonostante il funzionamento di questo meccanismo sia piuttosto chiaro al giocatore, alcuni fattori rimangono indeterminati: quale aspetto abbassa maggiormente la sanità mentale del personaggio? Il sangue, la presenza di un personaggio in particolare, gli occhi dei nemici? Basta un poco di “indeterminatezza” e l’horror è fatto! Infine, anche gli ultimi due punti toccati da Frictional Games si legano fra loro: i giocatori necessitano di un ruolo be determinato e di agency (termine intraducibile che sta a indicare la possibilità di scegliere, compiere azioni e scelte diverse all’interno del gioco!). Secondo i developer di SOMA, molti giochi horror non si curano abbastanza di determinare con chiarezza il ruolo svolto dal giocatore e dal suo personaggio all’interno dell’avventura. Questo determina poi una serie di incongruenze e assurdità nelle meccaniche di gioco: potrebbe mai un insegnante di fisica come Philip (Penumbra) afferrare una sbarra e sferrare colpi a più non posso a cinque mastini inferociti? No, ha più senso che al giocatore sia data l’agency che meglio corrisponde alle caratteristiche del suo personaggio: l’impossibilità di combattere, ma la possibilità di nascondersi e correre (la stessa buona riuscita della combinazione fra character development e agency la si trova in Outlast). Queste erano 9 lezioni imparate in 9 anni da Frictional Games, impegnata nello sviluppo di giochi horror e – come tutti i bravi game designer – nell’apprendimento dai propri errori o mancanze nel tempo.
L’analisi della struttura di un’esperienza horror ancora non vi convince sulle motivazioni dei giocatori che scelgono di sperimentare la paura in un ambiente virtuale? Naturalmente, i gusti personali e le preferenze non si mettono mai in discussione! Questo breve approfondimento, però può avervi dato una visione leggermente più ampia del perché e del come gli appassionati di videogiochi horror vivono un’esperienza interattiva da paura, la quale non riproduce esattamente le dinamiche di una minaccia reale, ma le organizza “in tutta sicurezza” tramite meccaniche, dinamiche e storytelling per un giocatore in cerca di brividi interattivi!