I cavalieri dell’apocalisse videoludica.
E’ recentissimo l’annuncio del nuovo remake dedicato al videogioco Prince of Persia – Le Sabbie del Tempo. Seppur una tiepida (diciamo pure gelida) accoglienza, per molti potrebbe sorgere spontanea una domanda: ma cosa si intende per “remake“?
A complicare la situazione, troviamo altri termini spesso erroneamente affiancati ad esso, come “remastered” o “reboot“. Insomma, tutto pur di confondere ulteriormente gli ignari videogiocatori.
In questa lettura cercheremo quindi di capire (una volta per tutte) le definizioni di ciascun vocabolo, per evitare ulteriori fraintendimenti. Vi basti comunque sapere che tutte indicano solo e soltanto una cosa: la riesumazione di una salma videoludica in nome del fanservice (e degli introiti).
Remake
Partiamo allora dal primo termine, per toglierci ogni dubbio. Per remake (letteralmente, rifare) si intende un rifacimento del videogioco originale, mantenendo però invariati molti dettagli precedenti, come trama e personaggi principali (con tanto di character design quasi o interamente fedele).
Ad esempio, vengono implementate migliorie nel comparto tecnico (recuperando gli assets originali o ricreandoli d’accapo), integrazioni al gameplay (limando ad esempio meccaniche troppo rigide o ormai fin troppo datate, aumentando armi e oggetti a disposizione) utilizzando però nuove e rinnovate risorse.
Brillante esempio è il recentissimo Final Fantasy VII Remake: parliamo infatti di un titolo assolutamente coerente con il gioco originale del 1997, che ha saputo operare sapienti variazioni nel combat system ad esempio, pur mantenendo storia e personaggi dell’epoca.
Volendo fare una specie di “scala di modifiche al prodotto originale“, il remake si piazzerebbe in quella zona grigia di chi non osa interferire eccessivamente con quei particolari che, del resto, hanno reso celebre il titolo precedente: una scelta più che saggia e condivisibile, dopotutto.
Spesso però queste edizioni “rivedute e corrette” vengono identificate come remastered e non come remake, ma può comunque accadere che le operazioni di rielaborazione si evolvano l’una nell’altra.
Degne di nota sono in merito le trilogie Crash Bandicoot: N. Sane Trilogy e Spyro: Reignited Trilogy: parliamo infatti di titoli che hanno saputo mantenere pressoché intatti i giochi originali, ma che ad oggi vengono ufficialmente definite come “remastered“, seppur molti non condividano questa visione.
Vi sembra tutto ancora piuttosto incerto? Tranquilli: cerchiamo di fare maggior chiarezza col prossimo paragrafo.
Remastered
A differenza del remake, l’edizione remastered (ovvero, rimasterizzazione) è la versione più vicina ad un’opera di restauro. Il gioco originale viene integralmente riproposto ma migliorando ad esempio:
- Il comparto grafico e relative texture (per esempio con titoli ora in 16:9 e ad una risoluzione di 1080p rispetto alla versione antecedente che impediva in quella generazione simili cifre);
- Il frame rate (cercando di raggiungere il famoso range ottimale compreso tra 30 e 60 fps);
- Il gameplay, ma nel limite di semplici correzioni di bug ed eventuali errori.
Di norma, è abbastanza facile identificare le remastered, poiché il titolo del gioco viene spesso affiancato alla sigla HD. Basti pensare ad esempio alla Devil May Cry HD Collection che di fatto raggruppava i primi tre capitoli dell’omonima saga in versione restaurata.
Tornando alla scala delle modifiche, la remastered è sicuramente nel gradino più basso, poiché, di fatto, non inquina alcun modo il titolo originale. Non a caso, è quasi sempre l’edizione più apprezzata dai fan nostalgici.
Al contrario quindi, quanto più una remastered apporterà modifiche, tanto più è possibile che si tratti invece di un remake. Se si supera invece il “limite”, si sfocia allora nel reboot.
Reboot
Per reboot infine si intende forse l’operazione più discussa e controversa dell’intero panorama videoludico (e non solo). Si prende un gioco di discreto/alto successo e lo si smonta da 0, per attenersi all’originale quel minimo indispensabile per poter giustificare un vago rimando all’opera precedente (o più semplicemente, il titolo in bella vista sulla confezione).
Fu dichiaratamente un reboot ad esempio il titolo del 2013 DmC Devil May Cry, che di fatto, annientò la trama originale della saga di videogames di Devil May Cry per gettare le basi per una nuova narrazione (visto che prevedeva esclusivamente l’utilizzo dei nomi dei personaggi principali originali ma in un contesto totalmente stravolto).
Nel linguaggio comune, si tende spesso e volentieri ad associare remake e reboot al pari di sinonimi, ma non è affatto corretto, come abbiamo potuto largamente analizzare.
Nella scala delle modifiche, il reboot vince quindi il podio per maggior coraggio e audacia dimostrati. Si sa che, dopotutto, “chi non risica non rosica“, ma… a quale prezzo (e con quali incassi)? Ai lettori l’ardua sentenza.
Porting: sembra remake, ma non è
Concludiamo quindi l’articolo con l’ultimo dilemma rimasto in ballo: cos’è allora il “porting”?
Per porting si intende letteralmente un “trasporto” del gioco da una piattaforma A (dove il titolo è uscito originariamente) ad una piattaforma B. Può essere essenzialmente di due tipologie:
- Intragenerazionale: quando un gioco viene portato su un’altra piattaforma sì, ma proveniente sempre dalla stessa generazione tecnologica;
- Intergenerazionale: quando un gioco viene portato al contrario da dispositivi di una generazione a un’altra successiva (come i giochi Wii U presenti ora per Nintendo Switch).
Si tratta di remake o tanto meno remastered? Non proprio, perché nella maggior parte dei casi non evidenziano particolari aggiunte o migliorie: si limitano piuttosto a rendere disponibile il gioco anche su altre piattaforme.
Questo passaggio però non necessariamente porta a risultati vincenti, come nel celebre (e triste) caso del porting per pc di Red Dead Redemption II.
E voi? Quale edizione preferite in un gioco? Fatecelo sapere con un commento, sperando di essere riusciti a chiarire dubbi e perplessità in merito a terminologie spesso fin troppo abusate nel mondo videoludico.