Spunti di filosofia Zen nel gameplay e nella storia di Sekiro
Girovagando tra gruppi Facebook salvifici per giocatori scarsi come me, ho avuto l’impressione che i titoli From Software siano diventati oggetto di una sorta di un rigoroso monoteismo da parte di molti utenti. Per molti, infatti, fuori dal perimetro dei Souls e di Bloodborne esistono titoli troppo facili e semplicistici. Lo stesso Sekiro è stato additato da alcuni come un titolo con poca longevità perché mancano le classi di personaggi, con elementi troppo arcade e una storia eccessivamente lineare.
Si tratta di critiche ingenerose, soprattutto perché non tengono conto di un aspetto che rende questo gioco inimitabile. Il titolo di Miyazaki ci fa capire il significato culturale e filosofico dello Zen. Interpretando il Lupo, infatti, sperimentiamo il codice dei samurai non solo come un set di regole, ma come atteggiamento di vita. O meglio, è la cosa che ho pensato quando, stravolto fisicamente in una notte di lockdown, sono riuscito a terminare il gioco.
Una volta ripresomi dall’esperienza, ho deciso di leggere Lo zen e la cultura giapponese di Daisetz T. Suzuki (Adelphi, 2014), un manuale introduttivo alla filosofia zen. È un’opera ampia, che però dedica tre capitoli all’arte della spada, che mostrano come la storia e il gameplay di Sekiro siano immersi in questa tradizione culturale.
Un importante principio zen in Sekiro: liberarsi dell’idea della morte
Morire è una punizione in tutti i titoli From Software, perché significa perdere “risorse economiche” e punti esperienza. Tuttavia, quando Lupo incrocia la strada con un boss la via maestra per vincere, al netto di glitch, è dimenticarsi delle fiaschette curative. Non è solo una questione di approccio al combattimento, ma un atteggiamento mentale, come spiega l’autore del libro, citando l’Hagakure:
Il Bushido [lo Zen applicato all’arte della spada] è la volontà risoluta a morire. Quando ci si trova al bivio, non si deve esitare a scegliere la strada della morte, senza particolare motivo tranne quello che così si è deciso e si deve essere pronti all’opera. Qualcuno potrebbe dire che morire senza raggiungere il proprio obiettivo è inutile, è una morte da cani. Ma quando ci si trova al bivio, non si devono fare piani per raggiungere un obiettivo. Noi tutti preferiamo la vita alla morte e ogni nostro piano o ragionamento andrà naturalmente in direzione della vita. Se quindi si manca l’obiettivo e si resta vivi, allora si è dei veri codardi. (Lo Zen e la cultura giapponese, p. 74)
Il parallelismo tra gioco e filosofia funziona perché, da un punto di vista del gameplay c’è una correlazione quasi biunivoca tra mosse del personaggio e del boss. Per esempio, se Genichiro fa un determinato movimento, Lupo ha quasi sempre un solo modo davvero efficace per reagire (Mikiri, parry o salto). Viceversa, una combinazione di tre o più attacchi non è quasi mai possibile contro il leader del clan Ashina (e gli altri boss). Ecco un estratto video che spiega bene questo concetto: nel primo caso la Mikiri in risposta all’attacco va a buon fine, nel secondo invece bisognerebbe saltare. E infatti Lupo prende in pieno il colpo.
Ingaggiando un intero combattimento ci si accorge però che, al di là della tecnica relativa alle singole mosse, sia fondamentale acquisire una spiritualità del combattimento. Quante volte ho sbattuto la testa contro un boss, poi ci ho dormito sopra, quindi l’ho sconfitto al primo colpo il giorno dopo. Questo perché non ero ancora pronto:
L’obiettivo essenziale da perseguire, al di là della tecnica, è l’elemento spirituale che ne controlla l’intero processo. Si tratta di uno stato mentale, conosciuto come munen o muso ( «non-pensiero» o «non-riflessione»), che non implica semplicemente l’assenza di pensieri, di idee, di sentimenti e così via, nel momento in cui si affronta, spada alla mano, il proprio avversario; significa lasciar agire le proprie facoltà naturali in una coscienza libera da pensieri, ragionamenti o afflizioni di sorta. In questa condizione mentale, nota anche come muga o non-atman (assenza dell’io), non viene lasciato spazio ai pensieri egoistici, né alla consapevolezza dei risultati conseguiti. (Lo Zen e la cultura giapponese, p. 114)
L’anima della spada, il rispetto verso il nemico
Altri elementi meno importanti del gameplay ma comunque significativi contribuiscono a determinare la filosofia zen di Sekiro. Il primo di questi è la spada. Come sa chi ci ha giocato, una buona parte della storia ruota attorno al tentativo di recuperare la lama mortale. E chi ha scelto il finale Shura sa quanto le intenzioni della spada e del samurai, unite, possano diventare pericolose. Anche in questo caso, un principio filosofico zen ci aiuta a comprendere questa relazione.
Se la spada […] viene brandita da un uomo che ha raggiunto un livello spirituale tale da permettergli di impugnarla come se non la impugnasse, allora l’arma si identifica con l’uomo
stesso, acquisisce un’anima. (Lo Zen e la cultura giapponese, p. 28)
Infine, un tema affascinante presente in Sekiro si manifesta ogni volta che sconfiggiamo un boss. Infatti, quando muore un nemico appare una finestra con il ricordo del combattimento contro di lui.
Essa, oltre a ricordarci di andare a potenziare il nostro personaggio, sembra invitarci a celebrare la memoria dell’avversario prima di proseguire.
Nell’ottica del samurai, i concetti di lealtà e sincerità sono particolarmente sottolineati: i nemici sono fedeli alla loro causa così come noi alla nostra, e questo sentimento, quando è autentico, va onorato ovunque e comunque si manifesti. (Lo Zen e la cultura giapponese, p. 70)
Due parole di conclusione sul perché Sekiro supera i Souls
Dietro un gioco indimenticabile si nascondo spesso significati più profondi, che non sempre si traducono nella sua narrazione. In questo caso il battle system di Sekiro ha rappresentato per me una porta aperta verso la filosofia Zen, che non conoscevo. Per questo motivo, al di là dei gusti personali, credo che debba essere collocato un gradino sopra rispetto alla trilogia di Dark Souls.