Cosa rese FFVII un capolavoro e perché sperare nei remake?
1997, quinta era delle console, ovvero l’anno in cui Final Fantasy VII uscì e fece fare il balzo evolutivo alla saga di Squaresoft. L’avventura di Cloud, Tifa, Aerith e compagni, rimasta esclusiva PlayStation per vent’anni, fu nell’immediato un successo e sul lungo periodo generò un effetto tipico di molte grandi opere: un culto generazionale.
Per questo motivo è difficile valutare Final Fantasy VII e il suo remake in modo oggettivo. Credo invece che sia utile affrontare due aspetti che lo differenziano in modo significativo dai capitoli precedenti e successivi. Entrambi hanno a che fare con l’impianto narrativo del gioco e riguardano il world building e la caratterizzazione dei personaggi.
E il remake che tutti aspettavano? È stato un successo. Ha superato i 5 milioni di copie vendute in una manciata di mesi. Tuttavia, ha stravolto alcuni elementi dell’originale e si è concluso con molte nubi all’orizzonte, ma potrebbe non essere un male.
Il mondo di Final Fantasy VII è strutturato su tre livelli
Ecologismo e globalizzazione
Al contrario di altri JRPG, la storia di questo videogioco porta da subito il giocatore nel vivo dell’azione. Siamo a Midgar, una megalopoli steampunk, edificata in mezzo al deserto. Un gruppo di ribelli vuole far saltare in aria un reattore della Shinra, la multinazionale che governa la città e che estrae un’importante risorsa del pianeta, l’energia Mako, mettendone a repentaglio l’esistenza.
Il primo livello tematico della storia è proprio l’ecologismo in chiave no global: dobbiamo salvare il mondo e l’umanità non da un mostro, ma da un’azienda. Nel 1997 l’idea secondo cui bisognasse combattere contro le intenzioni delle multinazionali era molto più diffusa rispetto a oggi.
Riferimenti alla religione shintō
Final Fantasy VII non è però soltanto una favola ecologista di fine millennio, messa in scena in modo eccellente. A un livello più profondo il gioco mostra una contrapposizione tra due modi di stare al mondo secondo le religioni shintō. Il Kami, che significa trattare con sacralità il pianeta perché considerato un’entità divina a cui appartengono tutte le forme di vita (dalle rocce agli esseri umani). Lo Tsumi è l’atteggiamento opposto, che invece offende e distrugge la terra in cui viviamo.
La storia recente giapponese
Infine, la contrapposizione tra Kami e Tsumi sembra nascondere un contrasto tra società tradizionale e “invasione” della modernità (e del monoteismo) occidentale sviluppatosi a partire dal XIX secolo in Giappone. Un primo riferimento, per esempio, è Jenova, l’entità aliena che rappresenta la vera minaccia per il pianeta, che richiama il termine Jehovah, uno dei sette nomi del dio ebraico. Ancora, Sephiroth è una delle forme con cui vengono definite “le 10 qualità, livelli o attributi attraverso i quali l’infinito divino si rivela progressivamente nella realtà materiale” (Treccani.it).
In questo senso, il mondo di Final Fantasy VII è strutturato in tre livelli di complessità: ecologico, filosofico-religioso e storico. Altre seppur stupende trame sono più convenzionali.
(Se volete approfondire e conoscete l’inglese recuperate Final Fantasy and Philosophy: The Ultimate Walkthrough, da cui ho preso spunto per questa riflessione).
Archi narrativi dei personaggi: redenzione, formazione e plot twist
Anche se nei JRPG si possono interpretare molti personaggi, spesso quelli a cui viene dedicato un arco narrativo importante sono pochi. Gli altri hanno un background, certo, ma sono per lo più funzionali al gioco e non alla storia. Nel settimo capitolo di Final Fantasy non è così. Alla fine del gioco vorresti che “ognuno dei personaggi fosse un tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira” (semicit.).
Barret, Red XIII, Cid e Vincent sono uomini caduti in disgrazia da tempo che hanno l’ultima occasione per una redenzione. Cloud, Tifa e Aeris ragazzi che dovranno crescere in fretta a causa degli eventi, come accade ai protagonisti dei romanzi di formazione moderni.
Sia il sesto, sia l’ottavo capitolo, pur essendo buoni titoli, presentano una caratterizzazione dei personaggi meno curata. Il primo probabilmente per i limiti tecnologici dell’epoca (era il 1994 quando uscì su SNES); il secondo a causa di carenze nella scrittura.
Per concludere la riflessione sui personaggi bisogna menzionare i due plot twist che fanno impallidire trame come Fight Club e il Sesto Senso. Dopo aver attraversato quei momenti, sarà impossibile non conservare uno spazio nel cuore almeno per i tre protagonisti più giovani.
Il confronto tra Final Fantasy VII Remake e l’originale
Sono passati ventitré anni e quasi tre generazioni di console prima di poter avere un remake di questo videogioco. Considerati i parziali fallimenti precedenti, oltre all’hype dei fan di lungo corso c’era anche un po’ di preoccupazione, che però è stata quasi del tutto spazzata via dai fatti.
Il battle system migliora di molto l’esperienza di gioco
Una precisazione. Se pensate che il sistema Active Time Battle sia ancora implementabile nel 2020 per raggiungere un pubblico di massa, allora potreste non essere d’accordo con me su questo punto. Infatti, il sistema di gioco del remake subisce una rivisitazione robusta. Esiste ancora la barra ATB, ma per riempirla bisogna attaccare dinamicamente. Solo a quel punto premendo il tasto X si passa a una modalità più strategica di selezione delle mosse. Si tratta in pratica di un modello misto bilanciato alla perfezione. Inoltre, i personaggi hanno skills e attributi specifici molto più marcati rispetto al precedente. Nell’originale, questa differenziazione era sostanzialmente una questione di HP/MP massimi e limit. Ora le abilità individuali sono davvero caratterizzanti e parametri come forza e velocità incidono in maniera decisiva.
La Midgar del 2020 è più viva e realistica
Da un punto di vista della libertà di movimento, la parte di Final Fantasy VII ambientata a Midgar è un corridoio, sia nel 1997, sia nel 2020. Eppure in questa riproposizione sono stati aggiunti dettagli grafici che ne hanno aumentato il realismo (ma questo è scontato con 23 anni di distanza). Soprattutto adesso ci sono molti personaggi secondari e terziari nuovi e quelli vecchi esistono in un modo più vivo, contribuendo in modo significativo alla definizione del mondo. C’è però un problema con alcune le missioni secondarie. Spesso si tratta di veri e propri filler che sembrano messi lì apposta per aumentare la longevità del gioco. È un problema minore, con cui si confrontano molti altri titoli. È tuttavia importante segnalarlo.
Il problema dei numen e del capitolo 18
Il remake di Final Fantasy VII vive in bilico tra tradizione e cambiamento. Squaresoft, che sembra aver deciso di non effettuare un semplice restauro, ha deciso di spiegarlo ai vecchi giocatori con i numen, ombre incappucciate custodi del destino messe lì a indirizzare la trama come se fossero dei MacGuffin di Hitchcock.
Questa soluzione, sgradevole perché ripetuta decine di volte nel corso della storia, rende pressoché identici originale e rifacimento fino all’ultimo atto, il capitolo 18. In questo momento finale del gioco succedono diverse cose: siamo costretti a combattere la peggiore bossfight di tutte, viene (inevitabilmente) anticipato il primo confronto faccia a faccia con Sephirot, il nemico numero uno; ma soprattutto i numen vengono spazzati via dai nostri eroi. Questo significa che nel futuro di Final Fantasy VII Remake dobbiamo aspettarci di tutto, anche delle ucronìe o universi paralleli.
Il prossimo episodio potrebbe quindi essere bellissimo e super innovativo oppure terribile. Io lo attendo con un po’ di ansia, ma con una convinzione. La nostalgia va accantonata: c’è un nuovo mondo da esplorare.