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Scuola a distanza, istruzione online, DAD: comunque lo si chiami, l’attività didattica in remoto iniziata nel 2020 e destinata a continuare – parzialmente, o solo in caso di bisogno – ha sconvolto le abitudini e lo stile di vita di tutti gli studenti, dai più piccoli ai giovani adulti. Non sono terminate, nonostante il drastico cambio di modalità, le richieste di compiti, tesine, tesi, ricerche e temi da parte degli insegnanti. Dal momento che in molti hanno avuto più tempo a disposizione (anche solo per l’assenza dei tempi di spostamento) da dedicare ai videogiochi, potrebbe essere interessante, per gli studenti e le studentesse gamer, tracciare un parallelo fra le loro materie di studio e il videogioco, se non fare del gioco stesso l’oggetto di ricerca dei loro compiti e progetti richiesti dalla scuola. Anche perché, ormai lo sappiamo, il gioco può essere benissimo annoverato fra quei mezzi di comunicazione di massa e di espressione artistica che genera infinite riflessioni, analisi e contenuti degni di nota. Ecco alcuni spunti e idee su come integrare il videogioco nelle proprie ricerche, in base all’argomento trattato.

Letteratura fra adattamenti e ispirazioni: 80 days e Beholder 2

L’adattamento di un romanzo al linguaggio di un altro medium (per esempio il cinema, ma non solo) è un’operazione complicata, ma spesso ciò che ne determina la buona riuscita è l’abilità di catturare il cuore e il significato originale dell’opera, un po’ come succede quando si traduce da una lingua a un’altra. È il caso dell’adattamento del romanzo di Jules Verne Il giro del mondo in 80 giorni in 80 days, un’avventura testuale sviluppata da Inkle Studios (Inghilterra) pubblicata nel 2014. Le meccaniche di gioco di un’avventura testuale sono tra le più intuitive: poiché l’esperienza è dominata dal testo scritto, i giocatori compiono le proprie scelte cliccando sulle frasi che descrivono l’azione che desiderano far accadere, oppure digitando direttamente semplici istruzioni (“raccogli oggetto”, “accendi torcia”) – in poche parole, un racconto interattivo erede dei famosi librigame. Nel suo traslare il mondo narrativo e gli eventi dell’avventura di Verne, 80 days espande e aggiunge possibilità, rotte e tragitti senza costringere il giocatore a seguire la via percorsa dai personaggi letterari, ma cattura comunque lo spirito del romanzo trasferendo l’urgenza e la precisione che caratterizzano il protagonista del romanzo Phileas Fogg nelle meccaniche principali del gioco: gestione di tempo e denaro, responsabilità di bilanciare pause ristoratrici e corse sfrenate, scelta degli argomenti di conversazione, capacità di far fronte a imprevisti. Con tanto di globo terreno interattivo che rivela passaggi, scorciatoie e rotte alternative a seconda delle decisioni del giocatore, 80 days risulta non solo una trasposizione videoludica che cattura con successo le atmosfere (seppur con una spruzzata di steampunk all’universo di gioco) del romanzo di Verne, ma anche un ottimo modo di ottenere una visione generale delle aree geografiche del mondo al di fuori delle mura scolastiche (senza nulla togliere agli atlanti cartacei!).

Ci sono poi videogiochi che non traggono spunto (o almeno, non dichiaratamente) da nessun romanzo stampato ma, sia per l’atmosfera che per gli elementi narrativi, richiamano inevitabilmente a storie già esistenti. È il caso di Beholder 2, seguito di Beholder. Entrambi titoli sono stati sviluppati dalla casa russa Warm Lamp Games nel 2016 e 2018. In Beholder 2 (perfettamente godibile anche senza aver provato il primo titolo) i giocatori vestono i panni di un cittadino impiegato al Ministero di un fittizio regime totalitario: il mondo distopico caratterizzato da dipartimenti segreti, regole ferree imposte da una dittatura spietata, offuscamento della verità e controllo dei mezzi comunicazioni di massa richiamano esplicitamente al mondo narrativo di 1984 di Geroge Orwell, che spesso entra nelle liste di letture obbligatorie o consigliate a scuola. Le dinamiche del gioco e del suo predecessore fanno eco agli avvenimenti del romanzo: il giocatore è infatti chiamato non soltanto a svolgere il suo lavoro presso diversi sportelli di catalogazione di documenti, lamentele formali e informazioni (meccaniche cicliche che richiamano quelle di Papers, Please) ma anche a compiere delle scelte che mettono in discussione la morale dell’uomo, spesso dovendo scegliere fra il proprio beneficio e quello di qualcun altro, in un mondo in cui non esiste una scelta giusta, ma solo una scelta leggermente migliore di un’altra a seconda dei punti di vista. Il fattore da analizzare in Beholder 2 è quindi la costruzione di un universo narrativo in cui, a differenza di 1984, il medium mette alla prova il suo stesso fruitore grazie al controllo del personaggio protagonista.

Proprio da due universi videoludici con una tematica in comune, la distopia politica, una casa cinematografica russa ha tratto due film brevi per YouTube: Papers, Please e Beholder – Uno spunto di ricerca interessante sul passaggio di una storia per tre diversi media che potrebbe incuriosire gli studiosi di crossmedialità e comunicazione.

Filosofia fra Intelligenza Artificiale e Anima: The Talos Principle

L’uomo e la scienza, il creato e il creatore, l’anima e il corpo, il senso della vita o la sua possibile assenza: temi universali, trattati da qualsiasi forma d’arte, in qualsiasi epoca che spesso vengono discussi a scuola durante l’ora di filosofia. Il puzzle game The Talos Principle sviluppato da Croteam e pubblicato nel 2014, rimette in discussione domande che per secoli hanno trovato risposte diverse e controverse, mettendoci nei panni di un anonimo protagonista robot, che si risveglia in un luogo paradisiaco molto simile al giardino dell’Eden. In un ambiente che mette in netto contrasto la natura primordiale (luce del sole, oceano, foresta) e la più avanzata tecnologia (laser, computer, intelligenza artificiale), le meccaniche di gioco consistono nella risoluzione di enigmi logici ambientali di difficoltà progressiva – il tutto condito da un involucro narrativo decisamente intrigante. Le poche ma significative interazioni tra personaggi toccano (più o meno esplicitamente) oggetti di dibattito quali la differenza fra umano e robot e l’esistenza di un creatore che dà vita al suo creato – ma cos’è la vita? Un essere artificiale è “vivo”?

A tal proposito, si può ampliare la ricerca e la discussione sull'”io videoludico”, l’avatar e il personaggio giocabile: chi siamo veramente quando videogiochiamo? Il nostro personaggio è un invidividuo a sè stante, esistente in uno spazio virtuale, oppure un’estensione del giocatore del mondo reale? Qual è la differenza fra un giocatore e il suo avatar? Come previsto, il videogioco si rivela ancora una volta uno dei tanti media che ci fanno riflettere, a loro modo e grazie al loro unico linguaggio, su temi, domande e dubbi che trascendono qualsiasi era e tecnologia.

Arte, storia e mitologia: ascendere all’Olimpo e gesire un impero

Ideale per chi frequenta una scuola o università incentrata su materie classiche, ma non solo, Apotheon è un platform 2D la cui grafica sembra “estratta” direttamente dalla pittura, dai colori e dallo stile delle anfore greche. La premessa narrativa non è da meno: come nella tipica trama di un poema epico, il gioco vede protagonista un eroe valoroso che sfida il volere degli dei. Un essere umano – il personaggio giocabile – è infatti chiamato ad ascendere al monte Olimpo per rivendicare i doni che Zeus ha smesso di concedere alla Terra a seguito dell’arroganza dimostrata dai greci. Se le meccaniche di gioco sono coerenti con il clima bellico dei poemi epici e dei platformer action, gli ambienti di gioco rendono ancora più protagonista la mitologia greca: dalla foresta di Diana in cui la quest da completare è quella di catturare la cerva in cui la dea della caccia si tramuta, ai terrificanti Inferi in cui regna Ade. All’interno della città degli dei, è persino possibile visitare l’agorà (la piazza principale) per acquistare armi e potenziamenti. Apotheon è un ottimo esempio di come l’interattività digitale combini l’estetica e la diegesi della mitologia greca. Un esempio da portare alla luce nella propria ricerca può essere quello della narrativa greca ben amalgamata con le meccaniche di gioco: il ciclope che funge da tipico boss finale del videogioco ha un ovvio punto debole, il proprio unico occhio, il quale dovrà essere colpito ripetutamente per abbattere definitivamente il nemico. Un piccolo dettaglio degno di nota che completa la coerenza del mondo narrativo presentato è l’effetto che il danno ricevuto provoca all’interfaccia utente: se il protagonista viene colpito, lo schermo si incrinerà proprio come un vaso rotto.

Tralasciando titoli specifici, un genere videoludico che può essere accostato a un argomento di storia è quello dei gestionali e strategici a tema storico, dalla serie di Europa Universalis a Age of Empire. Il consiglio è quello di non focalizzare la propria analisi soltanto sul contenuto narrativo e tematico del gioco (se così fosse, basterebbe sfoderare il popolarissimo “Assassin’s Creed insegna la storia meglio della scuola!”) bensì sulle dinamiche dei giochi strategici a tema storico, che replicano e simulano dettagliatamente le strategia militare, la gestione di risorse, il governo di imperi. Non si dimentichi che i nonni dei videogiochi gestionali strategici, ovvero i giochi di guerra analogici o wargame, risalgono alla fine del 18esimo secolo, quando gli scacchi furono di ispirazione ai primi wargame designer per la creazione di mappe e pedine con cui poter simulare e sperimentare attacchi, difese e piani elaborati. A scuola, sarebbe una lezione di storia molto più interessante se, alla fine della spiegazione della guerra fra Sparta e Atene, gli studenti avessero un’altra ora di tempo per viverla in prima persona con una partita a un gestionale storico, che ne pensate?

Europa Universalis II

L’opposto del gioco non è ciò che è serio, ma ciò che è reale

Sigmund Freud

Se invece si è alla ricerca di videogiochi ispirati al mondo della pittura, si rimanda ad alcuni spunti già presenti nell’articolo Arte e videogiochi: quando i quadri ispirano mondi videoludici.

Analizzare scientificamente un videogioco per un progetto accademico universitario, di scuola media o superiore, sia esso una ricerca di terza media che una tesi di laurea magistrale, non è una procedura diversa dall’analisi di un saggio, di un romanzo, di un film o di un ritratto: ne si delineano le componenti, il contenuto, il (possibile) significato e l’impatto culturale, rifacendosi a studi e dati esistenti. Si espone quindi la propria tesi, teoria o ipotesi supportata da tali ricerche, senza fare distinzione fra “utile” e “dilettevole”, né separando il “divertimento” dallo “studio”. È tempo che il videogioco, in quanto nuovo medium, sia reso parte integrante delle nostre riflessioni e delle nostre ricerche. Proprio chi ha a cuore l’istruzione del prossimo, specialmente a scuola, dovrebbe incoraggiare gli studenti a prendere spunto da qualsiasi cosa li circondi per creare quante più connessioni possibili, senza distinzione (deleteria per chiunque) fra ciò che rappresenta il vero sapere e ciò che dev’essere relegato a superficiale intrattenimento.

Referenze utili:

  • “I giochi e gli uomini. La maschera e la vertigine.” di Roger Caillois (prima edizione: 1958)
  • “Storytelling crossmediale. Dalla letteratura ai videogiochi” di D.Cajelli e F.Toniolo (2018)
  • “Come un videogioco” di James Paul Gee (2013)
  • Gamestudies.org e Gamejournal.it (riviste scientifice)
  • Errant Signal (canale YouTube di video-saggi sui videogiochi)