Realismo videoludico: tecnico e “meccanico”
In tempi recenti, il mondo dei videogiochi ha conosciuto un notevole incremento del grado di realismo, dovuto soprattutto alla strabiliante potenza grafica dei titoli pubblicati negli ultimi anni. In altri casi, il realismo, in un prodotto videoludico, può essere concentrato quasi del tutto sul gameplay e sulle sue meccaniche, che in alcune, rare occasioni, favoriscono il senso di concretezza e veridicità delle azioni che compiamo. Ultimamente, molti prodotti stanno venendo ornati di una vena di realismo, sia esso fotografico o “analogico”, e, per una buona fetta di videogiocatori, quest’ultimo tipo di realismo rappresenta un passo in avanti nell’industria dell’intrattenimento virtuale.
Grafica e tecnica: alla soglia del fotorealismo
È chiaro che, con l’avvicendarsi di nuove generazioni di console e nuove tecnologie grafiche (ovviamente. anche in merito al panorama PC), gli odierni sviluppatori di videogiochi possano garantire anche un notevole comparto visivo nei loro prodotti. Ad oggi, quasi tutte le opere videoludiche di contesto realistico presentano una veste grafica gradevole alla vista: altre produzioni riportano un comparto datato, e altre ancora, all’avanguardia tecnologica, ci offrono un colpo d’occhio strabiliante. Alcune case di sviluppo sono inoltre note per sfornare titoli di potenza grafica eccezionale (Naughty Dog, Rockstar Games, CD Projekt Red e altre), nonché di pregiata fattura nell’insieme.
Punto focale del processo di evoluzione grafica del videogioco, in tempi recenti, è la tecnologia ray tracing; quest’ultima tecnica di geometria ottica è fondata sul rendering dei raggi di luce, incluse le traiettorie scaturite dal contatto tra il raggio e una superficie. Il ray tracing rappresenta oggi l’ultimo grido in fatto di grafica videoludica: per questo, aziende come NVIDIA stanno impegnandosi nella produzione di schede grafiche e processori appositi, per favorire il supporto di questa pesante tecnologia (serie RTX). Mentre i più potenti PC, però, si fregiano del supporto al ray tracing, il mercato delle console non è immobile: le piattaforme di nuova generazione, PlayStation 5 e Xbox Serie X/S, integrano la suddetta tecnologia nel proprio hardware, regalando dunque il “passo in avanti” grafico anche ai possessori di una console casalinga. Il ray tracing, nel caso delle console appena citate, offre sì un impatto grafico incredibile, ma limita il numero di fotogrammi per secondo (FPS): quest’ultimo parametro è fondamentale per verificare la prestanza delle schede grafiche odierne.
La frequenza dei fotogrammi rappresenta la frequenza di riproduzione dei fotogrammi che compongono un filmato o un’animazione. A differenza del ray tracing, che tuttavia contribuisce quasi solo esclusivamente alla resa grafica di un videogioco, il frame rate è molto importante per la giocabilità effettiva del titolo. Infatti, il numero di FPS costituisce quasi del tutto la fluidità delle immagini che vediamo: fino a (relativamente) pochi anni fa, la soglia “massima” di FPS raggiungibili in un videogioco corrispondeva a 30 fotogrammi al secondo. Da qualche tempo, invece, il livello tecnico, da questo punto di vista, si è certamente innalzato: il PC gaming galleggia nelle piacevoli acque dei 60 FPS da molto tempo, e le macchine più potenti superano abbondantemente questo limite, arrivando al doppio dei fotogrammi, per i titoli meno “pesanti” da supportare. Le console da gioco, invece, hanno continuato il loro cammino assieme ai 30 FPS sino alla fine dell’ottava generazione: con l’avvento dell’attuale nona, PlayStation 5 e Xbox Serie X/S pongono anch’esse l’utilizzo dei 60 fotogrammi al secondo, e oltre; infatti, la nuova console di Sony offre un’apposita modalità da applicare al supporto dei videogiochi, la “modalità prestazioni”, che non prevede l’uso del ray tracing, bensì di un numero elevato di FPS, alla risoluzione 4K.
Molti videogiochi, ad oggi, possiedono un comparto grafico eccezionale; tra questi annoveriamo: i verdeggianti paesaggi di Horizon Zero Dawn, le selvagge lande di Red Dead Redemption II, la tentacolare metropoli futuristica di Cyberpunk 2077, il dettagliato globo terrestre di Microsoft Flight Simulator, gli abbandonati scenari urbani di The Last of Us: Parte II, le mitologiche ambientazioni di God Of War, le desolate pianure di Death Stranding, i frenetici saloni di Control, gli spettacolari scorci di Uncharted 4, gli adrenalinici campi di battaglia di Doom Eternal, le post-apocalittiche vedute di Metro Exodus e le dettagliate zone di guerra di Battlefield V.
Gameplay e meccaniche di gioco: il concetto di immedesimazione
Il lato meno approfondito del realismo, in un videogioco, è quello del realismo prettamente “meccanico” e legato al gameplay. Molti sono i titoli (di stampo “realistico”) in cui determinate azioni e specifici eventi ci risultano incongruenti e incoerenti con la realtà, perché inverosimili; alcuni videogiochi stanno adattandosi a questa nuova vena di seria concretezza, offerta, sul mercato, da un numero esiguo di produzioni.
Il realismo “meccanico” riguarda dapprima l’ambito della fisica e delle animazioni in un videogioco: per conferire un tratto verosimile ad un titolo, è fondamentale che questi due parametri siano rispettati nel migliore dei modi. La fisica, in particolare, perché risulti realistica, deve essere realizzata in maniera impeccabile e perfetta, poiché deve descrivere al meglio tutti i fenomeni cinetici (e non) che si verificano all’interno del gioco, i quali devono essere fedelmente riprodotti secondo la realtà. Le animazioni non devono essere necessariamente ineccepibili, perché hanno il principale compito di rendere più fluidi e realistici i movimenti di un modello, e la loro perfetta realizzazione non è essenziale, a differenza della fisica. E’ bene, ovviamente, che le animazioni non siano legnose, e che siano create in modo tale da rendere più verosimili movimenti e azioni dei vari personaggi. Da sempre, il metodo migliore per basare delle buone animazioni, in un videogioco, si costituiva sul motion capture: si fa largo uso di questa tecnica anche oggigiorno, ma alcuni titoli hanno presentato ottime animazioni anche grazie alla coniugazione di altre tecnologie. Esempio tangibile di ciò è The Last of Us: Parte II: il videogioco utilizza la procedura del motion matching; essa consiste nell’unire due animazioni per mezzo di una terza animazione, che, realisticamente, le colleghi. All’interno della produzione di Naughty Dog, tutto è sperimentabile con un’ azione: si può passare dal caricare a testa bassa un nemico allo sferrargli un potente attacco mediante l’uso di una verosimile animazione di congiunzione, che unisce l’animazione della corsa e quella dell’attacco, in modo tale da rendere realistico il passaggio da un’azione all’altra.
Infine, vi è il lato del gameplay: in tempi recenti, molti videogiochi si sono dotati di una componente realistica, direttamente inserita all’interno delle meccaniche di gioco. Il rendere verosimile qualsiasi azione, attraverso le sopracitate animazioni, e anche per mezzo di molti piccoli dettagli e particolari, favorisce il grado di immedesimazione in una produzione videoludica. E’ questo, il senso di immedesimazione, parte integrante del futuro del mercato videoludico, assieme all’abbondanza e alla totalità dell’interazione con l’ambiente di gioco. Il realismo, fuso alle meccaniche di gameplay, è tale non solo grazie a delle ottime animazioni, ma anche e soprattutto nel caso in cui esso apporti delle modifiche all’approccio al titolo, inserendo, nelle sequenze di gioco, delle variabili, che cambino significativamente gli eventi, o semplicemente offrano situazioni coinvolgenti. Inoltre, minuziosi e realistici dettagli, quando vengono mano a mano scoperti dal giocatore, contribuiscono ad aumentare la profondità del gameplay di un videogioco, facendo sì che sia concreto e intenso. Tutti gli sviluppatori di ogni videogioco che si rispetti si impegnano utilizzando al massimo i mezzi a loro disposizione, per far sì che il giocatore si trovi catapultato nel contesto del titolo. Ebbene, attraverso l’uso del realismo nelle meccaniche di gioco, l’ambientazione del titolo riesce maggiormente a catturare il giocatore, e svolge un ruolo importante nel giudizio finale della produzione.
I più noti esempi di videogiochi dotati di un realismo “meccanico”, e non solo “grafico”, sono i blasonati The Last of Us: Parte II e, soprattutto, Red Dead Redemption II. Mentre il primo si distingue principalmente per le animazioni superbe, qualitativamente superiori grazie alla sopracitata tecnica del motion matching, il secondo è la dimostrazione di come il realismo (quasi esasperato), in un videogioco, possa essere una variabile fondamentale all’interno delle sequenze di gameplay. Il capolavoro di Rockstar Games offre dei dettagli incredibilmente realistici, tra cui annoveriamo i seguenti: se un’arma da fuoco non verrà regolarmente pulita, potrà incepparsi; le carcasse di animali, a lungo andare, si deteriorano e marciscono; cadere nel fango sporcherà i nostri abiti, e gettarsi in acqua li sciacquerà; sparare agli arti o alla testa di un personaggio utilizzando armi a pallettoni causerà la loro esplosione; battere la testa contro un masso mentre si cade, nella maggior parte dei casi, provocherà la nostra morte; il nostro cavallo ci disarcionerà e scapperà se ci avvicineremo troppo ad un animale predatore; barba e capelli crescono regolarmente; se non ci laveremo con frequenza, emaneremo un cattivo odore, e verremo evitati e allontanati dagli altri personaggi; trasportare un cadavere sulla nostra schiena lascerà un alone di sangue sul nostro abbigliamento; bruciare materiali facilmente infiammabili determinerà l’incendiarsi di tutta l’area circostante.
Cosa separa un videogioco dalla realtà
Per quanto il grado di realismo di un videogioco possa essere incrementato, grazie all’uso di un comparto grafico straordinario e di un gameplay corredato di animazioni verosimili, esso non potrà mai esserlo a tal punto da congiungersi con la realtà. Ciò perché, all’infuori di questi elementi, che contribuiscono, come detto, a rendere un videogioco più realistico, esisteranno sempre altri elementi ancora che, invece, lo allontaneranno dalla vita vera e propria. Ad esempio, nella serie di Assassin’s Creed, è inverosimile il fatto che si sopravviva alla caduta da altezze vertiginose semplicemente precipitando in un mucchio di paglia. Nella serie di Red Dead Redemption, è inverosimile che si riesca a rallentare il tempo per prendere la mira più comodamente, grazie alla tecnica del dead-eye. Nella serie di Watch Dogs, è inverosimile che si riesca ad avere accesso a migliaia di possibilità di hacking semplicemente utilizzando il proprio cellulare. In Grand Theft Auto Online, è inverosimile che uno steroide permetta alle nostre armi da fuoco di causare danni doppi, all’infuori della più realistica capacità di renderci il doppio più resistenti al dolore. Nella serie di The Last of Us, è inverosimile che si possa amplificare il proprio udito, permettendoci di visualizzare i nemici oltre i muri (in The Last of Us: Parte II è possibile disattivare questa abilità).
In conclusione, ogni videogioco può presentare quanti più dettagli e particolari possibili, per avvicinarsi nel modo più esasperato alla realtà, ma ci sarà sempre una “barriera”, che lo separerà da essa. Molto probabilmente è meglio così: se un videogioco fosse totalmente legato alla realtà, non riusciremmo a definirlo “videogioco”, e, nella maggior parte dei casi, rinunceremmo a giocarci. Perché un videogioco sia un videogioco, è necessario che sia presente un confine tra il videogioco e la vita reale: è fondamentale ricordare che uno dei “principi” su cui si basa il concetto di intrattenimento videoludico è l’evasione, lo svago. Il videogioco serve, appunto, ad evadere dalla realtà, a regalarci un lasso di tempo di divertimento e ricreazione, e fare in modo che esso si avvicini perfettamente a ciò da cui stiamo “scappando”, non è il migliore dei modi per realizzarne uno.