Crimine e psiche: l’universo di Vince Gilligan

Negli ultimi quindici anni, il mondo dell’intrattenimento è stato investito dall’avvento di un grande fenomeno di massa. Si tratta di due serie televisive pluripremiate, che possiamo ritenere rivoluzionarie, anche soffermandoci sulla sola “superficie” della scrittura, semplicemente perfetta per entrambe. L’universo creato da Vince Gilligan con Breaking Bad, arricchito dalle collaborative mani di Peter Gould nel suo spin-off, Better Call Saul, racchiude in sé una grande storia di criminalità, principalmente legata al mondo del narcotraffico. Tuttavia, analizzando più a fondo questi prodotti, si deduce che il tema della criminalità fa solo da sfondo al tema del cambiamento psicologico e interiore, vero protagonista della narrazione; un cambiamento che, inevitabilmente, avvolge e circonda tutti i personaggi di questo universo, dal principio alla fine.

Spoiler Alert

Breaking Bad: il declino della morale

Il Gilliverse, come è stato definito dai fan e dagli stessi produttori in onore della geniale mente di Vince Gilligan, nasce il 20 gennaio 2008, con la messa in onda dell’episodio pilota di Breaking Bad. La sinossi della serie include il pretesto che innesca la proverbiale “fatidica serie di eventi“: Walter White è un cinquantenne professore di chimica che, con la tardiva diagnosi di un cancro ai polmoni e una breve aspettativa di vita, decide di entrare nel commercio di metanfetamina, così da garantire il futuro della propria famiglia attraverso i lauti guadagni che il business della droga offre. Walt decide così di mettersi in affari con un suo ex studente, Jesse Pinkman, tossicodipendente e piccolo spacciatore di strada, cosicché lui si occupi della produzione, e il ragazzo della vendita.

Gestendo il traffico di droga, Walter dovrà far fronte alle numerose difficoltà apportate dalla propria famiglia e dall’impulsiva indole di Jesse, ancora giovane e inesperto. Ma sarà il sempre crescente desiderio di denaro e potere il suo vero nemico, che lo indurrà a decadere in un cambiamento radicale della propria persona, trascinando con sé tutti coloro che gravitano attorno a lui.

Walt lentamente abbandonerà l’innocenza e la bonarietà che lo distinguevano nei panni di professore di chimica, per trasformarsi gradualmente in un uomo con pochi scrupoli, che non esiterà a scegliere metodi discutibili per la risoluzione dei propri problemi. Egli inizierà a interpretare sempre di più il ruolo di Heisenberg, che, con il passare degli episodi, inizierà a delinearsi come un vero e proprio alter ego, oltre che uno pseudonimo da produttore di droga. Heisenberg raffigura la parte più oscura di Walter White, la sua sopita e spietata crudeltà, cui il protagonista tenderà costantemente da un determinato punto della serie in poi. Nelle battute finali della quinta stagione, i due mondi di Walt riusciranno a convivere per un breve lasso di tempo, ma in lui noteremo in maniera sempre più evidente un uomo cambiato, scosso e segnato nel profondo da tutto ciò che la decisione di spacciare metanfetamina gli ha posto davanti. E per quante volte Walt abbia potuto ripeterci che la sua carriera criminale fosse votata allo scopo di garantire alla propria famiglia un degno futuro, nel finale di serie confessa alla moglie Skyler come tale proposito sia passato in secondo piano nel tempo, poiché tutto ciò che stava facendo gli dava piacere, lo faceva sentire, per una volta nella sua vita, realmente “vivo”. Individuiamo, dunque, una trasformazione totale, un passaggio importante dagli affetti familiari all’appagamento personale, nella scala delle priorità di Walt: un declino lento ma inesorabile, che lo ha portato a perdere i propri cari, per il cui avvenire tanto si struggeva, e tutto ciò che aveva a cuore.

Il vortice di regressione morale che risucchia Walt attira nella sua spirale anche tutte le persone con cui ha a che fare: Skyler, che assumerà il compito di conservare e riciclare le massive quantità di denaro guadagnate dal marito, finirà in uno stato depressivo talmente profondo da tentare il suicidio; Hank, cognato di Walt e agente dell’antidroga, che inconsciamente aveva introdotto il protagonista al narcotraffico, rischierà la carriera nello sforzo di catturare Heisenberg, passando dallo stereotipo di volgare poliziotto americano alla condizione di un uomo accecato dall’odio; Gus, raffinato signore della droga, verrà portato all’esasperazione dall’insubordinazione di Walter, fino a quando non rivelerà il suo lato più bestiale e spietato; Mike, calmo e riflessivo braccio destro di Gus, si abbandonerà più spesso a momenti di collera; Saul, losco avvocato dei due protagonisti, perderà progressivamente la sua rozza spavalderia in favore di un sincero timore nei confronti di Walt. Le azioni di Heisenberg, purtroppo, si ripercuoteranno anche sull’innocua e gentile anima di Gale Boetticher, promettente chimico, che avrebbe dovuto sostituire White nel business di Gustavo, finito ucciso da Jesse su ordine di Walt, al fine di salvare entrambi.

E infine, appunto, Jesse, il coprotagonista. All’inizio della serie, ci si presenta come un ragazzo perdigiorno e abituale consumatore di droga, galvanizzato e divertito dall’idea di condurre un piccolo giro di spaccio con il suo ex professore di chimica, alle cui lezioni non prestava mai interesse. Walt, inizialmente, mantiene una certa distanza dal ragazzo, considerandolo unicamente un “socio in affari”, ma, a poco a poco, arriverà a considerarlo un vero e proprio figlio adottivo, cui mostrerà occasionalmente il proprio affetto, pur continuando a manipolarlo per i propri scopi. Dal canto suo, Jesse continuerà, fino alla fine, a mantenere un certo rispetto nei confronti di Walter, riferendosi direttamente a lui con l’epiteto “Signor White”, come fosse ancora in classe con il suo vecchio professore, sebbene discussioni e alterchi non manchino di certo. Nel corso della storia, Jesse affronterà un lungo ed intenso processo di maturazione, transitando dallo stereotipo di giovane tossicodipendente allo stato di uomo adulto e cosciente delle proprie azioni, interpretando il ruolo di personaggio più “umano” della serie. Gli eventi che più lo scuoteranno con il passare degli episodi, come la morte di Jane, quella di Andrea, l’avvelenamento di Brock e l’uccisione di un innocente ragazzino da parte di Todd, costituiranno sempre una scintilla, un motivo in più per crescere, per accorgersi di quanto la vita ed il mondo possano essere crudeli. Jesse si macchierà di atti riprovevoli, terribili, che in realtà non avrà mai piena intenzione di compiere, lasciandoci intendere quanto egli sia soltanto un bravo ragazzo, dal grande cuore, sempre aperto ad una speranza di bene, puntualmente disattesa dalla durezza della realtà con cui ha a che fare. In El Camino, film sequel di Breaking Bad, possiamo osservare le gesta di Jesse nella sua vita da ricercato: è solcato in lui il ricordo di Walter White, della prigionia presso la banda di Jack, delle azioni deprecabili che ha dovuto eseguire in passato. Ma Jesse non si dà per vinto, e la sua fuga verso una nuova vita ci lascia ad un finale romantico, seppur amaro e malinconico.

In sintesi, Breaking Bad, come declamato da una breve sinossi di Netflix, è una “rivoluzionaria saga di antieroi”, una serie TV che presenta una componente psicologica fuori dal comune, per quanto concerne la scrittura e lo sviluppo dei personaggi. Associa perfettamente il genere thriller al genere drammatico, e pone, anche se non in modo diretto, la chimica al centro dell’attenzione, in un significato molto più intrinseco rispetto all’importanza “concreta” quasi marginale che essa possiede nell’ambito della trama. In questo caso, bisogna intendere il termine “chimica” come la definizione di “scienza del cambiamento“, relativamente alla trasformazione di tutti i personaggi, e nel suo significato metaforico di “feeling” tra due individui. Nella serie, infatti, è fondamentale osservare le connessioni fra i protagonisti ed i comprimari, per capire quanto il cambiamento di una persona possa influenzare i legami che ha con chi gli sta accanto.

Better Call Saul: l’estinzione della deontologia

L’8 febbraio 2015, sulla scia del successo planetario di Breaking Bad, conclusosi nel 2013 dopo cinque stagioni, va in onda il primo episodio del suo spin-off, Better Call Saul, incentrato sul personaggio di Saul Goodman, disonesto avvocato di Walt e Jesse, legato a doppio filo al mondo del crimine. La serie si propone come prequel della precedente, e si focalizza sul processo che ha portato Saul a divenire chi è nella serie madre. Better Call Saul si occupa di analizzare nell’intimo la figura di James McGill, vero nome di Goodman, di farci conoscere persone a lui care, che non vediamo in Breaking Bad.

All’inizio della serie, Jimmy McGill è un semplice avvocato, con scarsa clientela e cause di poco conto. Vive e lavora nello sgabuzzino di un salone di bellezza, e bazzica spesso la Hamlin, Hamlin & McGill (HHM), grande studio legale fondato da suo fratello, Chuck McGill, e diretto da Howard Hamlin, figlio dell’altro socio fondatore. Jimmy, oltre a dover faticare per ingranare nel mondo dell’avvocatura, deve anche occuparsi dei bisogni di suo fratello Chuck, costretto in casa da una particolare patologia, che lo rende estremamente sensibile alle onde elettromagnetiche, tanto da causargli malori per qualsiasi esposizione ad esse. Tuttavia, nella serie non manca un sottobosco criminoso, costituito da vecchie e nuove conoscenze.

Il cambiamento di Jimmy è fortemente relazionato al rapporto con il suo fratello maggiore, brillante avvocato, nei confronti del quale ha quasi sempre avvertito un complesso di inferiorità. Chuck aveva tirato spesso Jimmy fuori dai guai in gioventù, quando egli viveva di piccole truffe e bravate di ogni genere. Il nostro protagonista accudisce con attenzione il fratello, ma, con il passare del tempo, il rapporto tra i due si deteriorerà notevolmente, a causa degli ostacoli posti da Chuck all’avanzamento della carriera di Jimmy, e alle conseguenti vendette di quest’ultimo; i dissapori fra i due fratelli raggiungeranno il culmine con il processo a carico di Jimmy, la rovina della reputazione di Chuck e la sua conseguente morte suicida. Il protagonista rimarrà segnato dal decesso del fratello, ma arriverà a dimenticarlo e a sfruttare il proprio legame di parentela con un avvocato del suo calibro per i propri scopi. Nel frattempo, Jimmy continuerà a mantenersi attraverso numerose truffe, fino a trasformarsi in Saul Goodman, infido avvocato penalista, nei panni del quale svilupperà una seria connessione al mondo del narcotraffico. Quella che osserviamo, tuttavia, è una persona diversa: come nel caso di Heisenberg per Walter White, in quest’occasione Saul Goodman smette di essere un semplice alter ego, per impiantarsi stabilmente nell’anima di Jimmy, che diventa sempre più privo di scrupoli, sempre più interessato unicamente al proprio tornaconto, sempre meno ligio alla deontologia professionale. Nella parte conclusiva della serie, ambientata dopo gli eventi di Breaking Bad, Saul sta vivendo una nuova vita a Omaha, sotto le mentite spoglie di Gene Takavic, dopo essere fuggito da Albuquerque, conservando comunque un rimasuglio della propria tendenza all’imbroglio e al raggiro, che ormai capiamo essere tipico della sua indole, come spesso Chuck gli rinfacciava. Ancora una volta, però troviamo un uomo diverso, in una condizione quasi depressiva, completamente diversa dalla vivacità che prima lo caratterizzava in veste di Saul. E, nel finale di serie, proprio mentre Saul, sotto processo, sta per volgere ancora una volta la situazione a proprio favore, decide di confessare tutto. Decide di svelare la sporcizia della propria fedina penale, ripulendo però la propria coscienza dal demone dell’inganno e della menzogna, abbandonando peraltro la maschera di Saul Goodman, dichiarando a gran voce di chiamarsi James McGill. Decide quindi di trascorrere il resto della propria vita in carcere, ma con il piacere di aver fatto i conti con sé stesso, e vivendo, per l’ultima volta, un momento di intimità con la sua anima gemella.

La coprotagonista della serie è proprio Kim Wexler, inizialmente avvocatessa presso la HHM, amica, compagna e infine moglie di Jimmy. Il suo processo di cambiamento prevede la conclusione più amara e dolorosa: Kim ci si presenta come una giovane e promettente legale, con il prospetto di una radiosa carriera nell’avvocatura. Tuttavia, ella verrà pian piano traviata, seppur involontariamente, dall’irrequietezza e dalla slealtà di Jimmy, sempre alla ricerca di scorciatoie ed escamotage, che riflettono una diversità di pensiero molto marcata tra i due; mentre l’una è diligente e attenta alla deontologia avvocatesca, l’altro pratica la professione nella maniera opposta. Per ovvie ragioni, Kim non apprezza i metodi del compagno, ma lentamente si lascerà andare ad essi, venendo coinvolta da Jimmy dapprima in piccole truffe, e poi in raggiri via via più contorti. Il rapporto tra i due protagonisti potrebbe essere estremamente semplificato con la comune espressione “alti e bassi“: sono alti e bassi, quelli tra Jimmy e Kim, segnati da litigi, bugie, amore e complicità. I due finiscono per scontrarsi sul piano professionale, in una causa legale che li vede opposti, per poi riappacificarsi, al fine di devastare la carriera di Howard Hamlin, e infine divorziare e separarsi definitivamente, arrivati alla deduzione che la loro esistenza come coppia non fa altro che causare dolore e danni al prossimo, nonché a loro stessi, con la stessa Kim che rinuncia alla professione di avvocato. Alla fine della serie, dopo gli eventi di Breaking Bad, anche Kim ha cambiato vita, trasferitasi in Florida con un nuovo lavoro. Come nel caso di Saul, però, il suo nuovo corso sembra essere alquanto monotono e malinconico; sarà l’improvviso ritorno di Jimmy a scombussolare l’andamento delle cose: il suo arresto, il processo a suo carico, e le relative confessione e condanna ci portano al finale di serie. Kim e Jimmy fumano insieme nella cella di quest’ultimo, proprio come facevano nel parcheggio della HHM; infine, Jimmy saluta Kim, mentre questa lascia la prigione, “sparandole” con le dita, ma stavolta, dietro una rete carceraria. Così vicini, eppure così lontani.

Better Call Saul, tuttavia, mette sul piatto anche i trascorsi dei criminali di Breaking Bad, introducendo inoltre nuovi, importanti personaggi legati alla malavita. Parliamo principalmente di Ignacio “Nacho” Varga, giovane connesso in modo stretto al narcotraffico, e in particolare alla famiglia Salamanca, di cui conosciamo anche un altro esponente, Eduardo, noto come “Lalo“. Naturalmente, rivediamo i volti familiari di Mike Ehrmantraut, Gus Fring, Hector Salamanca, Juan Bolsa, Don Eladio e Lydia Rodarte-Quayle. In principio, vediamo un Mike casellante al tribunale frequentato da Jimmy, che occasionalmente racimola qualche soldo in più, grazie ai suoi “lavoretti” notturni; in seguito, venuto a contatto con Hector e Nacho, verrà avvicinato e assunto da Gus, formando un sodalizio leale e autentico fra i due, come visto nella serie madre. Gus è sempre sul filo del rasoio nei rapporti con il cartello messicano gestito da Don Eladio, nonchè vittima dei sospetti della famiglia Salamanca.

A chiudere il quadro vi sono Nacho e Lalo. Il primo, proprio come Mike, conduce una doppia vita, lavorando nell’officina del padre, ma raggranellando allo stesso tempo denaro grazie al traffico di droga. E’ proprio Manuel, il padre di Nacho, la voce della ragione del giovane: è un uomo semplice e onesto, che disapprova totalmente gli sporchi affari del figlio, di cui è perfettamente al corrente. Nell’intreccio, Nacho subisce un’importante trasformazione: il ragazzo che ci viene presentato come classico stereotipo di delinquente ispanico lascia pian piano spazio ad una persona umana, emotiva, che si ritrova, da un momento all’altro, in una situazione troppo grande per lui. La spavalderia giovanile viene sostituita dalla paura di perdere il proprio padre, ovviamente utilizzato da Gus e soci come ricatto nei confronti di Nacho, sempre più propenso ad abbandonare il crimine, ma oramai invischiato troppo a fondo in affari che non lo riguardano. Alla fine, dopo aver rigurgitato tutto il suo odio verso i criminali con cui ha avuto a che fare, porrà fine alla sua vita arbitrariamente, salvando a caro prezzo un padre sconfitto, ormai incredulo al valore della giustizia.                                                                                                                                            Il secondo, Lalo, non subisce mutazioni, ma ci si introduce con la maschera di una persona simpatica e giocosa: a poco a poco, tuttavia, svelerà la sua reale natura. Si tratta di un uomo spietato, crudele, brutale, privo di morale, assolutamente indifferente alla gravità di commettere un omicidio. Lalo non si fa scrupoli, trama inganni, uccide a sangue freddo, conservando sempre un grande sorriso sul volto, con una spiccata e macabra vena comica. Scampato alla morte, Lalo troverà la sua fine nel tentativo di uccidere Gus Fring, obiettivo primario delle sue efferate azioni, ucciso dallo stesso nel cantiere del laboratorio sotterraneo in cui lavoreranno Walt e Jesse.

E come dimenticarsi di Howard Hamlin, affabile ed impeccabile direttore della HHM. Howard, come Lalo, originariamente indossa una maschera, quella dell’elegante e presuntuoso uomo d’affari. Presto, però, ci si rende conto di come Howard sia una persona di buon cuore, che lega la propria vita al proprio lavoro: soffrirà visibilmente la morte di Chuck, ma non soltanto riguardo la reputazione dello studio, bensì, soprattutto, sul piano psicologico. E, come se non bastasse, Jimmy e Kim decideranno di distruggere la sua vita e la sua carriera, attraverso brutti tiri e meschinità di ogni genere. Infine, un Howard disperato dopo l’ennesimo tranello tesogli dai due coniugi, rinfaccerà a entrambi la loro bassezza, la loro povertà d’animo e la loro insensibilità, per poi finire ucciso a tradimento da un disumano Lalo.

Riassumendo, Better Call Saul è una serie che ancor di più analizza la psiche dei vari personaggi, osservando con attenzione le loro trasformazioni e relazioni. Come nel caso di Breaking Bad, anche la nuova creatura di Gilligan coniuga in maniera sopraffina generi diversi, ponendo, però, sempre in primo piano le emozioni, positive e negative, provate dai personaggi. E’ un prequel realizzato senza una virgola fuori posto, che si lega perfettamente alla serie precedente, senza incoerenze o errori di alcun tipo, richiamando figure che avevamo imparato ad amare, ma mai per mero fan service, come molti l’hanno definito, bensì per aprire in maniera ancora più marcata una finestra sulla riflessione interiore.

Regia e recitazione: l’apice del coinvolgimento

L’appassionante intreccio di Breaking Bad e Better Call Saul è impreziosito da una regia ed una recitazione ineccepibili. Entrambe le produzioni si impegnano nel fornirci delle inquadrature chiare, pulite, con un’illusoria staticità, sotto il cui strato di apparenza si cela una profondità intrinseca inedita per una serie TV.

Breaking Bad ha alzato notevolmente l’asticella in ambito registico, fotografico e recitativo, mantenendo costante una qualità pressoché cinematografica riguardo questi parametri, per tutte e cinque le stagioni. Qualsiasi ripresa, sia che comprenda la presenza di una sola figura, sia che comprenda la presenza di un collettivo di figure, racconta una microstoria, indaga la psiche di un personaggio, mette a fuoco visivamente le sue emozioni, le rende palpabili nella loro astratta essenza. Ed è così che si arriva alla realizzazione di splendide inquadrature, cariche di significato, create spesso attraverso espedienti geniali e singolari, giocando con luci e ombre. Tutto ciò che possiamo ammirare con gli occhi rasenta la perfezione, e, molte volte, anche un solo fotogramma può regalarci spunti di riflessione, e aprirci porte a nuovi modi di intendere una specifica scena.

Impossibile non citare le performance attoriali insuperabili della serie, a partire dai due protagonisti, Walt (Bryan Cranston) e Jesse (Aaron Paul), semplicemente eccezionali nella loro straordinaria capacità di spostarsi repentinamente da uno stato d’animo all’altro. Si prosegue con Hank (Dean Norris), nell’alternarsi di becero umorismo e austera serietà; Skyler (Anna Gunn), dalla gioia dell’amore familiare ad un’abissale demoralizzazione; Saul (Bob Odenkirk), in uno scambio tra volgari battute e serie preoccupazioni; Marie (Betsy Brandt), con una successione di affetto per i propri parenti e graduale malessere; Gus (Giancarlo Esposito), sempre in mezzo alla disputa tra spietata freddezza e pubblica filantropia; Mike (Jonathan Banks), premuroso verso la propria famiglia di giorno, e pregno di cupa esperienza criminale di notte; e poi ancora Jane (Krysten Ritter), Hector (Mark Margolis), Tuco (Raymond Cruz), Lydia (Laura Fraser), Todd (Jesse Plemons), e molti altri.

Potremmo ripetere lo stesso, identico discorso per Better Call Saul. Regia, fotografia e recitazione sono al loro picco qualitativo, forse addirittura superando l’apogeo raggiunto con Breaking Bad. Per sua natura, lo spin-off dedicato a Saul Goodman è ancor più riflessivo e meditativo, dunque il raccontare le emozioni di un personaggio attraverso le immagini diviene imprescindibile per la piena fruizione dell’opera. Better Call Saul concentra maggiormente le sue forze nel catturare lo spettatore non solo nelle sequenze più concitate, ma anche e soprattutto in quelle più inerti e laconiche, in cui potremmo letteralmente toccare con mano le sensazioni interiori dei personaggi su schermo: è l’espressione perfetta del detto “il silenzio vale più di mille parole“. E che dire dell’inusuale trovata di bagnare interamente, di bianco e di nero, le sequenze ambientate successivamente al finale di Breaking Bad: semplicemente eccezionale.

E’ infine obbligatorio rendere omaggio all’interpretazione magistrale di veri artisti del dramma, pienamente calati nel proprio ruolo, spaziando dal protagonista al comprimario meno importante. Parliamo dunque di Jimmy/Saul/Gene, volteggiante da forti scatti d’ira ad esilaranti spiritosaggini, da abbattuti lamenti ad energici propositi di rivalsa; Kim (Rhea Seehorn), immersa in una miscela di emozioni contrastanti, come gioia, delusione, tristezza e odio, guarnita da un’eterna e potente forza d’animo; Chuck (Michael McKean), oscillante fra austera calma, meticolosa professionalità, sofferenza fisica e psichica; Howard (Patrick Fabian), che spazia da onesto impegno lavorativo a complessa depressione interiore; Nacho (Michael Mando), in un continuo dondolare fra avidità giovanile, affetto familiare e autentico terrore; Lalo (Tony Dalton), una grande combinazione di brutalità, freddezza e psicopatica comicità. Ed è dovere annoverare le ottime interpretazioni di personaggi secondari: Bill (Peter Diseth), Rich Schweikart (Dennis Boutsikaris), Clifford Main (Ed Begley Jr.), Werner (Rainer Bock), Jeff (Don HarveyPat Healy), e tanti altri al loro seguito.

Breaking Bad Better Call Saul: analogie

Essendo Better Call Saul figlia di Breaking Bad, è naturale che le due serie condividano numerose somiglianze, preservando sia la comunanza del tema del cambiamento, sia la differenza di un’evoluzione narrativa discordante tra l’una e l’altra. E Vince Gilligan, coadiuvato da Peter Gould nello spin-off, continua a deliziarci con un’attenzione ai dettagli banalmente strepitosa, senza precedenti. Entrambi i prodotti si incatenano perfettamente, non lasciano alcun particolare al caso, curano puntigliosamente ogni piccola minuzia, per far sì che, una volta terminata la visione, si dia allo spettatore la corretta sensazione che “tutto torni“. Ma le analogie tra le due serie non si limitano a riferimenti e attenti dettagli, allargandosi sino alla sfera psicologica dei protagonisti.

Partiamo da Walt, che scivola così a fondo nell’abisso del degrado morale da giungere a rivelarci che tutti i crimini da lui commessi siano stati compiuti poiché produzione e spaccio di droga lo avrebbero fatto sentire “vivo”, a scapito del desiderio di assicurare un buon futuro alla propria famiglia. La visione di White, a proposito della crudeltà delle azioni eseguite, verrà condivisa, in fondo, anche da Kim. Dopo la morte di Howard, infatti, Kim si rivolgerà a Jimmy affermando che il loro complottare nei riguardi di Hamlin ha creato solo male e rovina, tuttavia confessando che, dopotutto, farlo le procurava piacere e divertimento.      E poi, Jesse. Il giovane si lascia trasportare, e soprattutto manipolare, molto facilmente dalle idee e dalle gesta di Walt, ma questa ingenua influenzabilità gli costerà cara. Jesse si ritroverà ben presto in una situazione pesante, troppo grande per lui, inesorabilmente trascinato dai subdoli inganni del suo ex professore. E, arrivato al capolinea, catturato, imprigionato e schiavizzato dalla banda di Jack e Todd, esasperato dalla sperimentazione di tormenti di ogni tipo legati ai suoi affetti, riuscirà a respirare la libertà, sfogandosi in un incontrollato pianto di gioia. In un’analisi più approfondita, ci si accorge di quanto il personaggio di Jesse sia simile a quello di Nacho, che, da un momento all’altro, viene catapultato in circostanze complicate, troppo complesse da vivere. Egli concluderà il suo cammino con un estremo sacrificio, togliendosi la vita, e, assieme ad essa, la soddisfazione di oltraggiare e ingiuriare la famiglia Salamanca, la cui malvagità tanto lo aveva disgustato nel corso della storia.                                                      Infine, occorre soffermarsi brevemente sulla figura di Mike. Può essere visto come lo stereotipo di vecchio e serioso “faccendiere” criminale, sempre imperturbabile e infallibile in tutto ciò che fa. Tuttavia, possiede un lato più intrinseco, non associato solo alla sua famiglia, ma anche agli stessi Jesse e Nacho, che prende sotto la propria ala protettiva. In loro vede sì dei delinquenti, ma anche lo spreco di giovani vite, per cause futili, che non li dovrebbero riguardare: i due ragazzi lo riportano a suo figlio, Matt, ucciso da agenti corrotti del dipartimento di polizia in cui prestava servizio, poiché oppostosi alla richiesta di macchiare il suo distintivo. Mike, tuttavia, diventerà l’uomo che ha sempre odiato nel momento in cui ucciderà l’innocuo Werner, troppo candido e onesto per l’ambiente in cui è capitato, proprio come il figlio Matt.

Concludendo, è necessario sottolineare che queste due pluripremiate serie condividano un’ultima, importante analogia. E lo si può evidenziare semplicemente con una citazione di François Truffaut, nella sua opinione di Psycho, di Alfred Hitchcock, valente per entrambe le serie:

è fatto talmente bene che può indurre il pubblico a fare qualcosa che ormai non fa più – urlare verso i personaggi, nella speranza di salvarli dal destino che è stato astutamente lasciato intuire li stia attendendo.